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Nutrizione nell’anziano: uno strumento di salute

A cura della Dr.ssa Simonetta Battiato – Medico Chirurgo Specialista in Scienza dell’Alimentazione


L’aumento dell’aspettativa di vita nella cosidetta “società del benessere” pone la necessità per le istituzioni e le figure preposte alla gestione della salute pubblica, di focalizzare i punti di maggior interesse nel mantenimento dello stato di salute nell’anziano.

Ma prima di parlare di interventi mirati a questo scopo, occorre prendere in esame le problematiche tipiche della terza età.

Con il passare del tempo l’organismo va incontro a modifiche fisiologiche, correlate all’età.

Il metabolismo basale si riduce dalla quinta decade di vita in poi fino al 30%, nelle età più avanzate.

Questo declino dell’attività metabolica è dovuto principalmente alla variazione della composizione corporea, con una diminuzione della massa magra, in particolare della massa muscolare e un aumento della massa grassa.

Già questa modifica, di per sé, comporta un aumento del rischio di malattie, perché l’aumento del grasso, soprattutto a livello viscerale, facilita la comparsa di infiammazione sistemica, insulino resistenza e sindrome metabolica.

Nelle persone anziane l’incremento ponderale non è solo dovuto al “fisiologico” aumento della massa grassa, ma anche alla diminuzione dell’attività motoria, non accompagnata da un ridotto apporto calorico.

L’obesità che accompagna questi cambiamenti fisiologici e comportamentali aumenta il rischio di malattie cronico-degenerative, come il diabete, la pressione alta, le dislipidemie (colesterolo e trigliceridi elevati), le malattie cardiovascolari, l’artrosi, l’asma e il cancro, con una diminuzione significativa dell’aspettativa di vita ed un aumento della morbilità.

Nutrizione nell’anziano.

L’alimentazione, in questo caso, gioca un ruolo fondamentale sia per la qualità, che per la durata della vita.

Ma non bisogna dimenticare che dai 60 anni in poi la scelta alimentare, più che in altre fasce di età, è influenzata dagli aspetti fisiologici, dalle patologie concomitanti e da fattori sociali ed economici.

L’inattività, la scelta della quantità e della qualità dei carboidrati e dei grassi, portano allo sviluppo dell’obesità e delle patologie correlate, prima fra tutte il diabete di tipo II.

Per prevenire il diabete o per la sua ottimale gestione è fondamentale la scelta del tipo di carboidrato; infatti carboidrati ricchi di fibre o amido-resistenti, a basso indice glicemico, sono correlati a una minore risposta glicemica postprandiale e quindi a una ridotta risposta insulinemica.

In questo caso la scelta del tipo di carboidrato modifica sostanzialmente la risposta metabolica.

Inoltre, la trasformazione di questi carboidrati da parte dei batteri intestinali, porta alla produzione di diversi acidi grassi volatili, tra cui l’acido butirrico, fondamentali per la salute del colon.

Altrettanto importante è la scelta dei grassi alimentari:

l’anziano dovrà diminuire i grassi saturi di origine animale e aumentare l’apporto dei grassi mono e poliinsaturi di provenienza vegetale (olio di oliva, piccole porzioni di frutta secca oleosa ecc.) e ittica.

Le proteine sono estremamente importanti per il mantenimento della massa muscolare e gli alimenti proteici più consigliati sono il pesce, le carni bianche e magre, i legumi, le uova, i formaggi freschi.

Anche il sistema digestivo diminuisce la propria capacità di digestione, sia per diminuzione della secrezione enzimatica e sia per la diminuzione dell’integrità della barriera intestinale.

Si è visto infatti che il microbiota, la popolazione batterica che si sviluppa e vive nel nostro apparato digerente, si altera con l’avanzare dell’età, comportando una diminuzione della risposta immunitaria e un aumento della suscettibilità alle noxe patogene (cosidetta “fragilità dell’anziano).

In questi casi la supplementazione con alimenti pre e/o probiotici (fibre, yogurt, latte fermentato), influenza positivamente la salute della mucosa intestinale ed indirettamente la salute dell’ospite.

I cibi addizionati con cloruro di sodio, il comune sale da cucina, sono invece responsabili del cronico aumento della pressione arteriosa, con un maggior rischio cardiovascolare e dell’ictus.

La diminuzione dell’uso del sale nei cibi preparati e dell’uso di cibi confezionati ricchi di sale, come i salumi ed i formaggi stagionati, dovrebbe essere il target non solo degli anziani, ma di tutta la popolazione.

Comunque non si deve pensare che l’anziano debba mangiare in modo differente rispetto ad un adulto “non anziano”.

L’assunzione dei nutrienti, come le proteine, i sali minerali e le vitamine è sovrapponibile, ma con alcune peculiarità.

Alcuni parametri si modificano nella donna.

Aumenta il fabbisogno di calcio e di vitamina D per il rischio di osteoporosi, mentre diminuisce il fabbisogno di ferro, per cessazione delle perdite mestruali.

Ai fini di un adeguato introito di calcio ci sono latte e latticini, che però sono ricchi anche di grassi, e si possono alternare validamente anche con il latte di soia arricchito in calcio o la frutta secca (in piccole quantità dato l’elevato apporto calorico) o i legumi.

Diminuisce anche il bisogno calorico, in funzione della diminuzione dell’attività fisica e della massa muscolare.

L’apporto calorico consigliato dai LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti) è compreso tra le 1800 e 2200 Kcal per l’uomo tra i 60 ei 74 anni e tra le 1750 e le 2000 Kcal per gli over 75.

Nella donna tra i 60 ei 74 anni l’apporto calorico consigliato è tra le 1600 e le 1900 Kcal, mentre per le over 75 è tra le 1550 e le 1850 Kcal.

Nell’anziano è maggiore il rischio di disidratazione per diminuzione del senso della sete.

Bisogna quindi sforzarsi di bere spesso ed abbondantemente. La verdura cruda e cotta 4/5 porzioni al giorno (50 g cruda; 150 cotta) e due porzioni di frutta (150 g x 2), devono essere sempre presenti nella dieta giornaliera.

La malnutrizione proteico-calorica

Il rischio nutrizionale maggiore nell’anziano è la malnutrizione proteico-calorica, molto frequente soprattutto nei pazienti allettati, ospedalizzati od istituzionalizzati.

La malnutrizione proteico-calorica aumenta in funzione dell’età in entrambi i sessi.

Le cause di malnutrizione possono essere sia sociali sia mediche. Tra le prime ricordiamo il vivere soli, l’incapacità di uscire, i pasti irregolari o monotoni, la povertà e la bassa classe sociale, la depressione. Le cause mediche possono essere la cattiva dentizione, la difficoltà nella salivazione, nella deglutizione, la BPCO, la gastrectomia, il fumo, l’alcolismo.

Il riconoscimento della malnutrizione nell’anziano è fondamentale, perché si accompagna ad un aumento della morbilità e della mortalità.

Il risultato degli interventi e delle terapie effettuati in ambiente ospedaliero, sono fortemente condizionati dalla presenza della malnutrizione.

La durata della degenza, della riabilitazione postospedaliera, sono significativamente aumentate, come anche la mortalità.

In particolare la mortalità è maggiormente correlata al momento del ricovero, con la perdita di peso e con l’albuminemia.

È fondamentale nel sospetto di malnutrizione proteico-calorica valutare lo stato nutrizionale attraverso accurate indagini cliniche, bioumorali antropometriche, strumentali.

La valutazione clinica è fondamentale e deve essere il primo momento diagnostico:

deve essere valutata la perdita di peso, l’alterazione dell’appetito, la mancanza di interesse nei confronti del cibo; quindi devono essere valutate le condizioni generali della cute e degli annessi cutanei che appaiono assottigliati e fragili con perdita dei capelli, la presenza di lesioni angolari delle labbra, l’atrofia muscolare.

Per le analisi ematochimiche (poiché nessun marker bioumorale da solo possiede requisiti di elevata specificità e sensibilità) si adottano diversi indicatori bioumorali: l’albumina che fornisce sufficienti informazioni sulla malnutrizione proteico-viscerale; la transferrina e la proteina legante il retinolo, sono invece markers più precoci. Altri markers sono l’IGF1, l’indice creatinina/altezza, il numero dei linfociti circolanti, l’iperomocisteinemia.

Le misure antropometriche.

La prima valutazione antropometrica da effettuare è il rapporto tra il peso in Kg e il quadrato dell’altezza, che fornisce l’Indice di Massa Corporea (IMC).

Si definisce il sottopeso un valore al disotto di 18. Anche l’osservazione di una perdita maggiore del 10% del peso nei sei mesi precedenti è indice di malnutrizione.

Per la valutazione del bilancio energetico si effettuano la valutazione dell’introito calorico attraverso l’anamnesi alimentare e la valutazione del dispendio energetico attraverso la calorimetria indiretta o più semplicemente usando formule predittive, come quella di Harris e Benedict.

Le indagini strumentali.

Tra le indagini strumentali più valide per la valutazione della composizione corporea abbiamo la bioimpedenziometria, la DEXA e la TC.

In realtà la valutazione complessiva dello stato nutrizionale non deve prescindere dall’inquadramento clinico, che consente di riconoscere prima e meglio di ogni altra indagine lo stato nutrizionale del paziente.

Ma l’aspetto più importante per la gestione della malnutrizione è il suo riconoscimento come rischio, in quanto spesso di fronte ad un quadro conclamato l’intervento medico può essere tardivo o inefficace.

Per questo esistono tabelle o questionari che contengono variabili cliniche o aspetti di tipo nutrizionale.

I questionari, che sono di semplice compilazione come il Mini Nutritionl Assessment (MNA), valutano le variazioni ponderali, i valori di laboratorio, ma anche eventuali difficoltà nello svolgimento delle normali attività quotidiane, come fare la spesa, cucinare, le disabilità e lo stato cognitivo.

Questi strumenti di facile applicazione, consentono di individuare precocemente un “rischio di malnutrizione”, consentendo agli operatori socio-sanitari un intervento di maggiore efficacia.