A cura di Mario Pezzella, Rossella Castrica, Vincenzo Russo
Il virus dell’epatite C, identificato da Houghton et al, quale agente responsabile della maggior parte delle epatiti Non-A, Non-B post-trasfusionali, è un virus a RNA appartenente alla famiglia degli Hepadnavirus genere dei Flaviviridae costituito da un genoma RNA a polarità positiva.
La replicazione virale, il cui intermedio è a polarità negativa, avviene attraverso l’enzima RNA polimerasi RNA-dipendente sprovvisto della funzione di protezione della trascrizione e quindi impossibilitato a correggere i frequenti errori e causa di continue mutazioni virali.
La diagnosi di epatite C si basa sulla ricerca degli anticorpi sierici con il saggio chiamato RIBA (Recombinant ImmunoBlot Assay) in grado di riconoscere singolarmente il tipo di anticorpo diretto contro il virus HCV e con il rilevamento dell’HCV RNA nel siero [1].
Dalle conoscenze dell’HCV apparve sempre più evidente un particolare tipo di infezione che non rispondeva ai canoni conosciuti e presentava caratteristiche decisamente uniche tali da indurre l’osservazione scientifica ad individuare un nuovo tipo di epatite C definita occulta.
Non era realistico infatti ritenere che l’infezione da HCV potesse essere diagnosticata solo dalla presenza nel siero degli anticorpi specifici e del genoma virale [2].
Il metodo di elezione per la diagnosi della epatite HCV occulta è costituito dal rilevamento dell’HCV RNA virale negli epatociti.
Nei casi di indisponibilità della biopsia epatica, invasiva e non priva di rischi, è stato sperimentato un metodo diagnostico alternativo costituito dalla individuazione dell’HCV RNA nei linfociti periferici che rappresentano il sito extraepatico ove il virus può replicare indipendentemente dal genotipo, dalla carica virale, dall’età dei pazienti, dalla durata della infezione e dalla presenza o assenza della cirrosi [3].
Precedenti indagini eseguite nel 1998 con tecniche di biologia molecolare quali l’ibridazione in situ nelle cellule mononucleate di sangue periferico di soggetti affetti da epatite cronica HCV positiva conclamata avevano rilevato nei linfociti periferici la presenza dell’HCV RNA genomico antisenso, indice di attiva replicazione virale [4].
Fin dalla sua scoperta avvenuta nei primi anni 2000 l’esistenza di una forma occulta di epatite C ha destato notevole interesse scientifico e nella banca dati National Center Biothecnology Information nel 2004 sono citate 25 pubblicazioni mentre 5 anni dopo, nel 2009, ne risultano 55. A tutt’ oggi, a dimostrazione dell’importanza dell’argomento, risultano pubblicati circa 700 articoli.
Successivamente è stato descritto un secondo tipo di epatite HCV occulta riferita a soggetti anti-HCV positivi al saggio di screening ELISA e sieronegativi per HCV RNA con transaminasi ALT ad un livello normale.
La sieropositività senza la viremia riflette verosimilmente la memoria immunologica dopo una pregressa infezione risolta con farmacoterapia o come lo stadio tardivo di una infezione immediatamente precedente l’eliminazione virale.
Il ruolo dell’immunità.
Le basi molecolari dell’infezione occulta sono correlate al ciclo replicativo dell’HCV.
Il virus circolante non è omogeneo ma costituito da una popolazione di varianti diverse distribuite secondo il modello della quasi specie. Sono stati descritti sette principali genotipi e più di 50 sottogenotipi.
La conseguenza dell’eterogeneità genica dell’HCV e della sua capacità di mutazione genetica sono alla base dell’elevato tasso di cronicizzazione poiché il virus sfugge al sistema immunitario dell’ospite, essendo coinvolto nei fenomeni di evasione della risposta immunitaria e nella limitata efficacia della terapia.
I soggetti immunocompetenti sani in alta percentuale cronicizzano poiché non riescono ad eliminare tutti gli epatociti infetti.
La risposta immunitaria vede coinvolte le cellule effettrici dell’immunità adattativa.
In particolare i linfociti B, produttori di anticorpi, costituiti da sottopopolazioni che si differenziano tra loro in base al tipo di proteine prodotte e alla loro funzionalità, i linfociti T, mediatori dell’immunità cellulare, i linfociti natural killer (NK) le cui funzioni effettrici sono l’uccisione delle cellule infettate e la produzione di IFN-γ, citochina che attiva le funzioni microbiocide dei macrofagi nei confronti dei microbi fagocitati, oltre alle cellule dendritiche che attivano le risposte immunitarie adattative dei linfociti T in quanto catturano i microbi ed altri antigeni e li presentano ai linfociti fornendo segnali in grado di stimolare la proliferazione e la differenziazione dei linfociti stessi.
Entrambe le componenti sia umorale sia cellulare della risposta immunitaria sono necessarie per la eliminazione di HCV.
Le ragioni per cui i portatori di infezione occulta sono negativi all’analisi sierologica non sono ancora ben conosciute e possono dipendere da meccanismi ancora non individuati per cui l’infezione occulta è ritenuta multifattoriale.
Presumibilmente l’epatite HCV occulta è il risultato della incapacità del sistema immunitario di riconoscere gli antigeni virali a causa di una disregolazione del comportamento del sistema immunitario, responsabile della inibizione dell’espressione genica.
I pazienti con epatite HCV occulta hanno una risposta delle cellule T CD4+ significativamente più frequente rispetto ai pazienti con epatite cronica HCV e con epatite cosiddetta criptogenetica oltre ad avere un numero più elevato di cellule T CD8+ citotossici.
Fra le più importanti cause della infezione HCV occulta è da rilevare l’esistenza di un difetto funzionale dei linfociti T citotossici che può dipendere da più fattori (una elevata e persistente viremia capace di determinare un loro esaurimento funzionale, un difetto funzionale dei linfociti T CD 4+ helper il cui compito è coadiuvare i linfociti T citotossici responsabili dell’immunità adattativa, oltre che dall’infezione degli stessi linfociti T citotossici da parte del virus costituendo in tal caso riserva per la replicazione virale).
Un altro meccanismo potrebbe essere dovuto alla infezione con ceppi virali atipici che inducono la produzione di anticorpi non rilevabili con i correnti metodi diagnostici o che possano direttamente infettare le cellule del sistema immunitario impossibilitate così a svolgere in modo corretto una risposta umorale contro HCV [5].
Le implicazioni pratiche
Dal punto di vista epidemiologico l’epatite C occulta è presente in tutte le aree geografiche e la sua distribuzione riflette la generale prevalenza dell’infezione da HCV.
La letteratura scientifica evidenzia che tutte le categorie di pazienti a rischio di infezione a trasmissione parenterale (tossicodipendenti, emodializzati, politrasfusi) sono considerati a rischio di epatite C occulta a causa della dipendenza dallo stato del sistema immunitario.
L’inibizione della replicazione dell’HCV può essere temporanea e reversibile e l’infezione occulta può essere riattivata esitando in una epatite acuta lieve o in una severa forma di epatite C.
L’osservazione scientifica rileva la diffusione dell’infezione occulta anche nella popolazione normale stando ad indicare un rischio potenziale per la diffusione di HCV da una popolazione con infezione HCV occulta.
In un recente studio su un campione di popolazione omogenea rappresentato da soggetti che non presentavano evidenze di malattia epatica con normali livelli di enzimi epatici e senza alcun marcatore di infezione da HCV è stata osservata in una percentuale del 3,3% la presenza di infezione HCV occulta riconosciuta dal rilevamento dell’HCV RNA nei linfociti periferici [6].
Un altro studio epidemiologico ha rilevato che la prevalenza della infezione HCV nei membri di famiglia di soggetti affetti da infezione occulta HCV è risultata analoga a quella dei membri di famiglia di pazienti con epatite HCV conclamata, evidenziando la necessità di adottare strategie atte ad impedire la trasmissione della infezione in ambito familiare [7].
La più importante possibile conseguenza è una continua via di trasmissione della infezione da parte della popolazione affetta da HCV occulta, costituendo un rischio potenziale di trasmissione in ambito familiare e nella vita di relazione.
La infezione occulta è stata infatti diagnosticata in mogli di soggetti affetti da epatite cronica conclamata HCV, evidenziando la trasmissione dell’infezione tra coniugi [8].
In particolare, nello studio della epatite C post-trasfusionale era evidente una reale possibilità che qualcuna delle unità di plasma utilizzate potesse essere infetta da HCV. Fino al 2008 il fattore principale di rischio era considerato costituito dal periodo finestra, cioè il tempo intercorrente tra l’infezione e la prima comparsa degli anticorpi specifici.
Un individuo negativo al saggio di conferma RIBA, veniva ritenuto idoneo alla donazione mentre un individuo positivo era ritenuto non idoneo.
Il rischio residuo di trasmissione per HCV era attribuito al lungo intervallo di tempo tra l’infezione iniziale ed il primo rilevamento positivo del test RIBA.
Il Ministero della Salute per ottenere un migliore livello di sicurezza trasfusionale raccomandava, nel marzo del 2008, l’adozione del nuovo sistema diagnostico NAT (Nucleic Acid Testing) per ottenere un più alto livello di sicurezza trasfusionale riducendo il periodo finestra a sole due settimane.
I controlli di legge attualmente previsti in base al Decreto n. 69 Ministero della Salute 2 novembre 2015 non sono comunque in grado di assicurare l’individuazione di donatori di sangue affetti da epatite HCV occulta in quanto per la diagnosi la ricerca dell’HCV RNA è eseguibile solamente su frammenti di biopsia epatica e/o sui linfociti periferici non presenti nel siero o nel plasma in esame.
L’epatite HCV occulta è stata descritta in numerosi studi eseguiti su donatori di sangue sani con livelli normali o alterati di enzimi epatici e negativi per anti-HCV ed HCV RNA nel siero, ma positivi per HCV RNA nelle cellule mononucleate di sangue periferico.
L’efficacia di riduzione del rischio di trasmissione è ancora oggi oggetto di discussione, anche se esistono approcci disponibili per ridurre il rischio di malattie legate ai leucociti, come il processo di leucodeplezione idoneo a rimuovere la maggior parte dei leucociti dal sangue intero e dagli emocomponenti, così come stabilito nel suddetto decreto inerente le disposizioni relative ai requisiti di qualità e sicurezza del sangue e degli emocomponenti.
È stato stimato che la leucodeplezione è in grado di rimuovere circa il 50% dell’infettività associata ai globuli bianchi.
In particolare, viene eseguita “la rimozione della maggior parte possibile dei leucociti dal sangue intero e dagli emocomponenti in modo tale da garantire l’ottenimento, prima della conservazione, di una quota leucocitaria residua per unità di emocomponente inferiore a 1 x 106 ” (GU n. 300 del 28-12-2015) e ridurre gli eventi avversi associati alla contaminazione leucocitaria[9].
Insieme con il periodo finestra l’epatite C occulta rappresenta attualmente la principale causa di epatite C post-trasfusionale.
Tale osservazione riveste fondamentale importanza dal momento che la sicurezza virale di un emoderivato non viene solo basata esclusivamente sul risultato del controllo del prodotto finito ma, cosa ben più importante, viene basata sulla qualità del materiale di partenza ottenibile con adeguata selezione e screening dei donatori.
Questo è uno dei motivi per cui all’art. 24 si legge:
Consenso informato del ricevente (Parte B pag 55) “Il ricevente la trasfusione di sangue o di emocomponenti e/o la somministrazione di emoderivati, preventivamente informato, anche attraverso l’utilizzo di apposito materiale informativo, che tali procedure possono non essere completamenti esenti da rischio, è tenuto ad esprimere per iscritto il proprio consenso o dichiarare esplicitamente il proprio dissenso alla trasfusione”.
La medicina clinica
Numerosi studi sono stati rivolti al confronto con la epatite cronica HCV conclamata, ed è stato rilevato che la infezione occulta HCV causa una malattia cronica epatica generalmente lieve con danno epatico che evolve in modo meno grave. L’importanza della diagnosi dell’epatite HCV occulta è comunque strettamente correlata alle sue complicazioni, dal momento che gli effetti lesivi dovuti alla cronicità dell’infezione non riguardano il solo fegato, ma coinvolgono diversi organi ed apparati.
Dal punto di vista clinico costituisce un argomento attuale di grande interesse poiché l’infezione cronica non è responsabile della sola epatopatia ed è da presumere che i danni prodotti all’organismo siano gli stessi causati dalla infezione conclamata.
Indagini eseguite su soggetti affetti da cirrosi epatica cronica criptogenetica, anti-HCV and HCV-RNA sieronegativi, hanno evidenziato il suo ruolo patologico nello sviluppo dell’epatocarcinoma.
Inoltre, numerosi studi riferiti a soggetti affetti da epatite HCV occulta hanno evidenziato attività necroinfiammatoria e fibrosi, potenzialmente causa di evoluzione in cirrosi e carcinoma epatocellulare [10].
Inoltre, l’infezione occulta è coinvolta nella riattivazione acuta della epatite da HCV a seguito del trattamento con agenti immunosoppressivi o anche per l’insorgere di un’altra infezione come quella da virus dell’epatite B (HBV).
Tale evento è confermato dalle indagini epidemiologiche sui fattori di rischio che hanno evidenziato che la via “parenterale” rappresenta la più efficiente analoga modalità di trasmissione di infezione.
Altre modalità, anche se con diverso e minore grado di efficienza, sono rappresentate dalla via “parenterale inapparente” dovuta alla penetrazione del virus attraverso lesioni difficilmente individuabili della cute o delle mucose.
Poiché i due virus HCV ed HBV sono trasmessi allo stesso modo non sorprende che varie persone abbiano contratto entrambe le infezioni. In tale situazione l’infezione HCV è dominante sia dal punto di vista virologico che clinico per cui tradizionalmente HCV viene farmacologicamente trattato per primo.
L’utilizzo di farmaci antivirali ad azione diretta DAA (Direct Acting Antivirals) possono riattivare l’infezione da HBV sia nei soggetti con infezione da HBV in atto (HBsAg positivi) che soggetti negativi ma verosimilmente portatori di HBV occulto.
Per tale ragione nei diversi studi presenti in letteratura pur avendo prevalenze variabili ma non trascurabili, nell’ottobre del 2016 la Food and Drug Administration (FDA) ha emesso il più alto livello di allarme dell’Agenzia sul rischio di riattivazione dell’HBV in pazienti trattati con DAA contro HCV raccomandando di testare per HBV tutti i pazienti con epatite cronica C da trattare con DAA [11].
Questa situazione è possibile in tutti gli ambiti della medicina in cui viene fatto ricorso a terapie immunosoppressive che interferiscono con la risposta immunitaria.
L’immunosoppressione iatrogena, dovuta a steroidi o chemioterapici può favorire la riacutizzazione e la riattivazione dell’infezione in pazienti con infezione HCV occulta.
La epatite HCV occulta rappresenta una importante problematica nella gestione clinica dei soggetti trapiantati d’organo costretti ad assumere quotidianamente farmaci immunosoppressori per la prevenzione del rigetto acuto e cronico.
Studi di farmacocinetica, di farmacodinamica e clinici effettuati allo scopo di individuare efficaci e sicure modalità del loro impiego, non sempre annullano completamente il rischio di attivazione della epatite HCV occulta.
In assenza di vaccinazione specifica, la tempestiva introduzione della profilassi antivirale, prima dell’inizio della terapia immunosoppressiva, può rivelarsi essenziale per la prevenzione di un severo danno epatico.
La persistenza del genoma dell’HCV RNA negli epatociti infetti, anche dopo diversi anni dalla risoluzione clinica della malattia, in concomitanza di un ridotto controllo immunologico, può essere responsabile della riattivazione della malattia poiché è improbabile che una risposta virologica, anche se sostenuta, porti alla completa eliminazione del virus.
Infatti, nei soggetti trattati con la terapia farmacologica nonostante il successo ottenuto in relazione alla viremia, alla istologia epatica e al livello degli enzimi epatici, è stata raramente osservata una completa eliminazione del virus per la sua capacità di persistere e replicare in siti diversi dalla cellula epatica [12].
Alcuni autori ritengono comunque che nei pazienti oncoematologici l’HCV da solo non sia in grado di indurre linfomi, ma che sia concausa con altri eventi cellulari, genetici o ambientali, poiché molto ancora rimane da conoscere sul possibile contributo alla carcinogenesi.
HCV extraepatico
L’epatite HCV occulta è implicata nella incidenza della malattia renale ed ha una influenza negativa nella storia naturale di pazienti emodializzati affetti da glomerulonefrite, unica nefropatia glomerulare inequivocabilmente correlata all’infezione HCV.
La crioglobulinemia mista, manifestazione extraepatica dell’HCV meglio conosciuta, ha un meccanismo patogenetico dovuto alla formazione di immunocomplessi tra crioglobuline ed antigeni virali che si legano ai recettori sulle cellule endoteliali dei vasi provocando uno stato infiammatorio noto come vasculite leucocitoclastica.
Sebbene le manifestazioni cliniche siano variabili, generalmente asintomatiche, la crioglobulina mista presente in circa il 50% dei casi di epatite cronica da HCV, predispone allo sviluppo di linfomi non Hodgkin a cellule B ed alla β-talassemia maggiore.
In particolare è descritto in letteratura un trattamento innovativo eseguito con l’impiego dell’anticorpo monoclonale chimerico geneticamente ingegnerizzato, Rituximab, principalmente utilizzato nel trattamento del linfoma non Hodgkin delle cellule B, nelle leucemie delle cellule B e in talune malattie autoimmuni che ha dimostrato di essere in grado di contenere diverse manifestazioni cliniche della crioglobulinemia mista.
Il suo impiego deve essere attentamente valutato e giustificato dal punto di vista costo/beneficio in quanto la situazione clinica della possibile riattivazione dell’HCV occulta può essere molto variabile, da forme asintomatiche con modesto incremento degli indici di citolisi epatica a forme fulminanti [16].
Una ulteriore dimostrazione viene da uno studio in cui è stato dimostrato il rilevamento dell’HCV RNA genomico nel tessuto renale di paziente affetto da glomerulonefrite membranoproliferativa, nonostante l’assenza del genoma virale sia nel siero che nel fegato.
Inoltre, nelle cellule mononucleate di sangue periferico di pazienti con malattia renale cronica ed alterati livelli degli enzimi epatici è stata dimostrata la presenza dell’HCV RNA, aprendo una grande problematica nella gestione della emodialisi cronica e quindi nella gestione dei soggetti in emodialisi.
L’HCV RNA antisenso nelle cellule mononucleate di sangue periferico di pazienti affetti da epatite HCV occulta sottoposti a emodialisi suggerisce che HCV replica all’interno di queste cellule per cui questi pazienti potrebbero essere infettivi ed in grado di trasmettere l’infezione.
È stato documentato che l’epatite HCV occulta rappresenta un problema significativo in pazienti con disordini ematologici.
La replicazione dell’HCV può essere favorita nei pazienti onco-ematologici sofferenti di una severa forma di immunosoppressione causata dalla loro malattia e dalla chemioterapia cui sono sottoposti [14].
Alcuni sintomi, quali la depressione ed i disturbi cognitivi, risultano essere associati all’infezione cronica da HCV, che a sua volta è associata ad elevati livelli di stress concorrendo ad una riduzione della qualità della vita.
È stato dimostrato che l’HCV, non essendo esclusivamente epatotropico, sia nel caso di infezione conclamata che occulta, può replicarsi nelle cellule della linea macrofagica inclusi i monociti ed i macrofagi, presenti in circolo nei processi infiammatori, capaci di superare la barriera ematoencefalica e quindi veicolare il virus consentendogli di stabilirsi nel cervello ed infettare le cellule cerebrali compromettendone le funzioni.
In tale situazione di stress cronico viene incrementato il rilascio di citochine pro infiammatorie, IL1, IL6 e TNFα, che determinano contestualmente disturbi emozionali quali la depressione e disturbi cognitivi di rilevante interferenza negativa sulla qualità di vita, sull’aderenza alla terapia e sulla prognosi della malattia virale [15-16].
In conclusione, l’infezione HCV occulta sieronegativa rappresenta un serio problema clinico ed epidemiologico il cui meccanismo patogenetico è ancora poco conosciuto.
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