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DB-03-2012

db 3 2012

SOMMARIO

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L’EDITORIALE
Giuseppe Luzi

DEPRESSIONE: NOME COMUNE, FEMMINILE, SINGOLARE
Carolina Aranci

ECOCOLORDOPPLER PER LA PREVENZIONE E PER LA DIAGNOSI DELLE MALATTIE CEREBROVASCOLARI
Gilnardo Novelli

MIXING
Alessandro Ciammaichella

VESCICA IPERATTIVA:UNA PATOLOGIA SOTTOSTIMATA
Romana Vallone

IMMAGINI DIAGNOSTICHE IN IMMUNOFLUORESCENZA
Francesco Leone

L’ANALISI ROUTINARIA DELLE URINE
Giuseppe Luzi

SINTOMI DELLE BASSE VIE URINARIE E IPERTROFIA PROSTATICA
Gianrico Prigiotti

LA MALATTIA PEPTICA E IL GASTROPANEL: DIAGNOSI SIEROLOGICA O ENDOSCOPIA?
Augusto Vellucci, Claudia Rossi


SPENDING REVIEW E GESTIONE DELLA SALUTE

In una nota di Adnkronos Salute del 8 maggio 2012 si legge Sanità protagonista in spending review, in 7 giorni oltre 95.000 mail a sito governo. Ovviamente non tutte le 95.000 segnalazioni di possibili sprechi riguardano la Sanità, ma non c’è dubbio che ciascun cittadino, nella propria individuale esperienza, ha potuto osservare nelle diverse strutture assistenziali varie forme di distorsione organizzativa e conseguente perdita economica. Nella stesso nota viene inoltre riportato quanto segue:
Le mail dei cittadini – spiega ancora l’ufficio stampa di palazzo Chigi – si dividono in due grandi categorie: quelle specifiche, che segnalano sprechi circoscritti a singole amministrazioni o enti pubblici, spesso Enti locali, e quelle che invece intervengono su grandi temi di interesse pubblico – come la sanità, dove un cittadino di Treviso denuncia “i pasti inutilizzati delle mense che finiscono nella spazzatura” o “il riscaldamento sempre acceso anche d’estate”.

Come cittadini di una nazione che ha fatto molto, in passato, per costruire un stato sociale estendibile a tutti e tenuto conto delle professionalità esistenti nelle diverse strutture che operano nei settori della Sanità, è assai doloroso confrontarsi con questi temi. Anche perché viene toccato un argomento sensibile: per questo motivo le strutture private che lavorano nell’ambito della salute, sia nella fase organizzativa sia nella fase operativa direttamente rivolta all’utente, debbono farsi carico di una sempre più oculata gestione delle spese aziendali. Spesso si è detto, come anche in precedenti editoriali di questa rivista: il “privato” risparmia sulla qualità perché ha un interesse economico da salvaguardare. Ma queste affermazioni, non di rado frutto di un approccio schematico e “populistico” al problema, vengono contraddette alla luce di una realtà molto semplice: perché negli ultimi anni, invece, molti cittadini si rivolgono all’assistenza privata pur dovendo affrontare un qualche onere di spesa, talora non irrilevante (soprattutto in tempo di crisi economica)? Il cittadino percepisce “migliore” la qualità del privato rispetto al “pubblico”? Ovviamente dipende da cosa intendiamo per percezione, prestazione di qualità e così via.

È evidente che per la loro complessità alcune prestazioni (interventi terapeutici, determinati servizi sanitari essenziali, malattie rare, analisi ad altissimo costo) e l’utilizzo della strumentazione relativa debbano essere compito della gestione pubblica. Tuttavia, ad esempio, per quanto riguarda i servizi diagnostici e più in particolare le indagini di laboratorio, si torna ad auspicare che l’amministrazione pubblica agisca selettivamente nell’individuare strutture private che abbiano dimostrato di fornire un adeguato e aggiornato servizio al cittadino. Così facendo, essendo dimostrata la maggiore economicità della prestazione privata rispetto a quella pubblica, come è stato già segnalato nel precedente editoriale del maggio 2012, si otterrebbe come primo risultato un risparmio netto a parità di numero delle prestazioni erogate.

La nostra, purtroppo, è una nazione di persone non giovani e sappiamo che il futuro “invecchierà” ancora di più. Prestazioni medico/assistenziali saranno sempre più richieste dagli utenti nel contesto di nuove situazioni sociologicamente complesse. Partiamo dalla conoscenza di questa realtà, ben delineata ormai in proiezioni statistiche a medio-lungo termine, per cominciare una sana revisione della spesa (“spending review”), equilibrata e sostenibile. Altrimenti si vanificherebbe l’impegno che le strutture hanno fornito storicamente come risorsa per il cittadino, causando un sostanziale decremento degli indici che definiscono la qualità della nostra vita.

La sensibilità professionale della BIOS e la consapevolezza dell’importanza del rapporto costi/benefici è stata più volte evidenziata anche nel recente passato. Un impegno per il futuro deve consistere nel mantenere le premesse che consentano un equo bilanciamento tra sanità da prestazione privata e sanità da prestazione pubblica.


DEPRESSIONE: NOME COMUNE, FEMMINILE, SINGOLARE

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A volte la depressione è femmina. Se lo stato depressivo è una condizione comune a milioni di persone in tutto il mondo ogni anno, per i ritmi di vita e le crisi socio-affettive attuali, le donne ne soffrono il doppio degli uomini, in particolare tra i 18 e i 44 anni e dopo i 65; e il 25 per cento della popolazione femminile ne è colpita una volta nella vita.
In cosa consiste il disagio? Ci si chiude in se stessi perdendo la voglia e la capacità di interagire con gli altri, non avendo più stimoli vitali né entusiasmo nell’affrontare la quotidianità. Oltre all’umore sottoterra, al senso di colpa, alla visione pessimistica di qualunque cosa, il depresso presenta sintomi visibili come rallentamento psicomotorio, incapacità di sorridere, insonnia, modificazioni dell’appetito e dunque del peso. La solitudine è poi una delle situazioni in cui si sviluppa più facilmente la crisi, venendo a mancare la presenza di affetti e persone care sulle quali contare.

Se è in agguato anche durante e dopo il parto, cosa che certamente fa lievitare il numero di soggetti femminili colpiti, le donne sembrano soffrire molto più degli uomini di un tipo di depressione piuttosto subdolo legato al mondo psico-affettivo. Si presenta infatti anche in situazioni di vita familiare in cui convivono altre persone, con le quali tuttavia il depresso non si trova in sintonia, non riesce a confrontarsi, avvertendole anzi più come un peso alla propria realizzazione che non come un aiuto. In molte donne sposate, ad esempio, la mancanza di comunicazione con il partner, dovuta a stanchezza, superbia, superficialità, egoismo e altri fattori che variano da caso a caso, può far sentire alla donna un profondo senso di solitudine, pur all’interno della vita matrimoniale. Non si sente ascoltata, capita, sostenuta e si fa carico ogni giorno di più dei problemi casalinghi o familiari, schiacciata dal peso delle cose che accadono e che vengono sorrette principalmente, se non esclusivamente, da lei.

Da ciò scaturisce un senso di inadeguatezza della persona di fronte a situazioni che si fanno sempre più difficili da sostenere, fino a divenire insormontabili. Perciò la moglie sviluppa un forte senso di solitudine, poi di incapacità, fino ad arrivare alla vera e propria depressione, che peggiora il rapporto con il partner. Interrompe allora l’apertura a qualsiasi dialogo col marito per evitare di sentirsi rispondere con continui dinieghi, soffre di astenia sessuale in quanto non avverte più alcun feeling con lui, da cui anzi si sente rifiutata a livello psico-caratteriale, e si chiude in una realtà egotistica che danneggia parimenti lei e la vita matrimoniale.
Significativa in tal senso è l’esperienza raccontata nella lettera che segue.

“Mio marito mi deprime. La vita con lui è faticosissima e di respiro corto. La mattina vorrei che al suono della sveglia mi abbracciasse e mi salutasse teneramente, invece spesso al mio dolce ‘Buongiorno!’ risponde con un mugugno scontroso. So che lo fa perché non è felice del suo lavoro, ma è me che tratta male.
Da quando siamo sposati avrà preparato la colazione per me due, forse tre volte; in genere, anche se si alza per primo, devo essere io ad accendere il gas sotto la macchinetta del caffè e a scaldare il latte. Dopo devo sciacquare le tazze della colazione, perché lui le leva dalla tavola ma solo per metterle nel lavandino; molto difficilmente le lava e le ripone nello scolapiatti. Si veste lasciando abiti in giro per la casa, e quelli che mette nell’armadio non sono sempre ben piegati né al loro posto; devo perciò rimetterli in ordine io, mentre mi preparo a mia volta per il mio lavoro. Potrei lasciarli così come sono, è vero, peggio per lui; invece no, sarebbe peggio per me, perché ciò che non trova in ordine crede sia anche sporco, dunque lo mette a lavare e naturalmente a fare le lavatrici e stendere i panni sono io…

La mia giornata è in genere un turbinio di cose da fare; finita l’attività professionale inizia quella di gestione della casa, e raramente ho spazio per un po’ di sport o per me. Quando riesco ad esempio ad andare in piscina – dove non vado da due mesi – è perché mi impongo di fare una pausa tutta mia, per evitare di esaurirmi.
La sera, quando è l’ora in cui lui esce dall’ufficio, smetto ogni altra attività domestica per iniziare a preparare la cena, perché la trovi pronta. E anche in questo caso, dopo che io ho apparecchiato e cucinato, in genere devo anche sparecchiare e riporre i piatti sporchi nella lavastoviglie, in quanto lui dice di sentirsi stanco e va a stendersi sul letto o sul divano. Come se io, invece, fossi fresca e riposata come una rosa…
Al termine del riordino della cucina, lo trovo di nuovo immerso nelle sue letture o dietro lo schermo del pc.

Nelle giornate più nere, quando provo a parlargli lui neanche mi risponde o al massimo si limita a farlo svogliatamente senza staccare gli occhi dal testo o dallo schermo che ha davanti. Se sottopongo alla sua attenzione qualche problema o cose da fare, mi dice che lo farà domani… e naturalmente l’indomani ripete lo stesso, senza mai risolvere il problema. Così, dopo qualche giorno, di pomeriggio, sono io a dovermela sbrigare da sola o a dover chiamare qualche persona o parente, in genere mio padre, per aiutarmi a risolvere cose di cui da sola non riesco a venire a capo.
Ad esempio, domani è il nostro anniversario di matrimonio. Mio marito è tornato a casa verso le 20, io sono corsa ad abbracciarlo (come faccio ogni sera) e a dirgli che ero in pigiama perché mi ero appena fatta una doccia rilassante, ma che ero pronta a cambiarmi se lui avesse voluto uscire, andare al cinema o altro, o anche a farci un po’ di coccole. Lui ha risposto che gli sarebbe dispiaciuto saltare il tennis, visto che dopodomani è festa nazionale e dunque lo dovrà saltare per forza, così come non potrà praticarlo la volta successiva perché, senza che io lo sapessi, ha prenotato una visita medica proprio per quel giorno. Così ora sono sola a scrivere, con la cena da preparare, i capelli sciolti e profumati ma senza che la persona per cui li ho così li stia apprezzando. ‘Quando torno facciamo qualcosa assieme’, ha detto mentre usciva, ma io gli ho fatto presente che tornerà alle 22.30, e dopo cena sarò troppo stanca e andrò a dormire, visto che domattina la sveglia suonerà impietosa alle 7. D’altronde, ha sottolineato, l’anniversario è domani, mica oggi… quando gli ho detto che però sarebbe stato bello iniziarlo a festeggiare stando assieme già la sera precedente non ha replicato. Il suo uscire di casa è stata la risposta.

La visita medica che ha prenotato mentre era in ufficio è per una pulizia dell’intestino. Da quando siamo sposati, nonostante la mia dieta sia a base di carne o pesce, la sera, ho sempre dovuto cucinargli per cena riso o pasta in bianco perché esattamente nelle settimane vicine al nostro matrimonio lui ha cominciato, dice, a soffrire di colon irritabile. Così io ho dovuto cambiare – o per lo meno trascurare – le mie abitudini alimentari, ingrassando quattro chili.
Questo fastidio al colon non dico non esista in realtà, ma di sicuro viene appesantito dalle sue fisime. Mio marito infatti sembra in certa misura ipocondriaco, e ne sono prova le medicine che lui, a 40 anni e dunque a un’età ancora non certo avanzata, ha accanto al letto. A iniziare dalla Valeriana, che prende perché di notte dice di non riuscire a dormire, cosa di cui accusa quasi sempre me per il fatto che a suo avviso facciamo poco l’amore e dunque non riesce a rilassarsi quanto basta; poi le lacrime artificiali, perché di notte prova secchezza oculare; poi, un gel che si mette in bocca prima di dormire, perché, durante il primo anno di matrimonio, ha sofferto di qualche macchiolina bianca sulla lingua, una glossite migrante, a mio avviso trascurabile ma di certo non da lui. Senza dimenticare le pastiglie di bicarbonato che assume per digerire meglio appena si stende e lo spray nasale, contro le allergie.

Un’altra fissazione che ha è quella dei libri. In casa una parete intera è dedicata alla grande libreria che trabocca di suoi volumi anche in doppia fila. Perché avesse più spazio gli ho liberato tre scaffali della mia piccola libreria (grande un terzo della sua) ma ancora non gli basta. Lui non ricorda neanche i volumi che ha, perché non è esattamente una passione, come dice, bensì una smania di possesso, una sorta di ostentazione della cultura. Ho ritrovato, mettendo a volte a posto i libri, volumi ormai vecchi di qualche anno ma ancora incellofanati, che dunque aveva comprato chissà quando e non aveva mai letto, neanche sfogliato. Nonostante ciò, continua a comprarne e a intasare la casa con questi mucchi di carta. Quando gli chiedo di eliminarne qualcuno, va su tutte le furie e ribadisce che i libri sono una sua passione e mi taccia di disprezzarli. Vorrebbe mettere un’altra libreria in salone, ma io mi sto opponendo fermamente; non so per quanto ancora ci riuscirò.
Da sempre mi accusa di essere ‘sessuofoba’ perché secondo lui non facciamo abbastanza l’amore; quando gli faccio notare che anche lui dovrebbe cercare di creare le occasioni giuste, con più dolcezza, premure e attenzioni, risponde che sono io a essere fissata col non-sesso e di non capire come sono fatti gli uomini. Come se lui capisse, invece, come sono fatte le donne, e soprattutto sua moglie, che maltratta in tutti questi modi”.

Ma come si arriva a una degenerazione tale del dialogo di coppia? La vita d’oggi, certamente, non aiuta la comunicazione tra coniugi. Ritmi di lavoro stressanti e richieste oltre il normale orario professionale di aziende e datori di lavoro sembrano fatte apposta per dimenticare la vita familiare e sociale. Si torna a casa sempre più tardi e la stanchezza assale sia lui, sia lei. Così si parla il minimo indispensabile, rimandando al fine settimana i problemi da affrontare. Ma di sabato e di domenica si sente l’esigenza di rilassarsi e non pensare alle difficoltà, per cui, anziché affrontare serenamente il dialogo coniugale, ci si accusa, ci si sottrae al confronto di coppia e giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, la famiglia non regge più.
Un percorso psicoterapeutico che prenda in carico una donna colpita da depressione non può esulare dall’inserire la moglie all’interno del contesto coniugale nel quale vive e dunque dall’accompagnare marito e moglie prima in un lavoro individuale, poi congiunto.
Spesso occorre iniziare dal singolo, sia lui, sia lei, perché ristabilendo l’autonomia individuale si ristabiliscano le buone relazioni di coppia. Occorre far ritrovare la disponibilità ad aprirsi di nuovo alla comunicazione e allo scambio con il partner, con fiducia, in maniera sempre più spontanea, consapevole ed efficace, essendo questa apertura presupposto necessario a ricucire il tessuto della coppia. Così si ritroverà l’armonia del ‘noi’, che non è qualcosa di scontato ma è frutto invece di intimità, complicità, fiducia, tolleranza, stima reciproca e capacità di sostenere il conflitto, inevitabile per qualunque coppia. Occorre accogliere l’altro nella sua diversità, affinché i punti di discordanza diventino incontro tra due mondi e occasione di crescita.
Sono molti i terapeuti e i centri che propongono tra i loro servizi anche la terapia di coppia, visti i tempi duri che le relazioni coniugali e le famiglie stanno affrontando. E i figli che crescono vivendo quotidianamente le liti tra i genitori, o che devono dividersi tra la mamma e il papà, trascorrendo con un genitore i giorni feriali e con l’altro il fine settimana, oppure stando una settimana a casa del padre e una dalla madre, vivono uno squilibrio difficilmente colmabile.

Percorsi terapeutici di coppia e di famiglia possono arginare il fenomeno dei coniugi in difficoltà relazionale. Occorre seguire i mariti e le mogli in difficoltà con un leitmotiv di fondo: non ‘curare’ ma, meglio, ‘prendersi cura’ di essi, cercando di risolvere i problemi quanto più prontamente possibile, basandosi sulla loro quotidianità. In questo modo anche gli stati di depressione femminile, scaturiti spesso da un cattivo dialogo di coppia, vengono sanati, ripristinando la vitalità di lei e conseguentemente del partner. Il beneficio è generale: dai coniugi si estende ai figli e all’intero contesto familiare; e famiglie felici, serene e unite creano benessere sociale.


ECOCOLORDOPPLER PER LA PREVENZIONE E PER LA DIAGNOSI DELLE MALATTIE CEREBROVASCOLARI

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L’effetto Doppler fu descritto da Christian Johann Doppler (foto 1) nel1842, in relazione alla variazione di frequenza subita dalla luce delle stelle doppie a causa del loro movimento. Tale fenomeno, valido per tutte le radiazioni, indica che, data una sorgente di ultrasuoni e un bersaglio in movimento, la frequenza riflessa è maggiore della frequenza trasmessa, quando il bersaglio si avvicina alla sorgente, mentre è minore quando il bersaglio si allontana dalla stessa.
Solo un secolo dopo la tecnologia si avvalse di questa osservazione del cielo per applicarla alla circolazione sanguigna dell’uomo. Nel 1956, Satomura (foto 2) osservò che i globuli rossi in movimento riflettono gli ultrasuoni con un cambiamento di frequenza e mise a punto un metodo per la misurazione dei flussi ematici. Contemporaneamente, nel 1952 Howry e Holmes mediante l’applicazione degli ultrasuoni ottennero delle immagini bidimensionali di sezione di collo e di addome.

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Foto 1 – Christian Johann Doppler

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Foto 2 – Shigeo Satomura

Queste due importantissime ma differenti applicazioni degli ultrasuoni in diagnostica medica furono poi rapidamente sviluppati e migliorati aprendo in breve tempo nuove e inaspettate possibilità di utilizzo nelle patologie vascolari. Un ulteriore importante progresso fu compiuto all’inizio degli anni 80 del XX secolo con l’introduzione dell’EcocolorDoppler (Namekawa, Bommer, Mille) che utilizzò un nuovo prototipo di apparecchio ecografico capace di rappresentare il flusso ematico vascolare con codice di colori sovrapposto all’immagine ecografica bidimensionale, ottenendo in tal modo sia informazioni strutturali della parete arteriosa, sia i grafici delle variazioni di flusso causate dalle stesse (foto 3).

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Foto 3 – Biforcazione carotidea normale. Si evidenzia la regolarità delle pareti arteriose e l’uniformità del flusso, evidenziato sia dal colorDoppler che dal grafico con componenti sisto/diastoliche normali.

Questa metodica attualmente è la più usata al mondo (alta sensibilità e specificità) per la diagnosi delle patologie vascolari e per la prevenzione delle ischemie cerebrali e nell’ictus. Per tale diagnostica ci avvaliamo di particolari sonde e apparecchiature altamente sofisticate e di specializzati in diagnostica vascolare per eseguire lo studio dei vasi sovraortici. In primo piano va posta la prevenzione. L’esame EcocolorDoppler va richiesto a tutti gli individui al di sopra dei 50 anni per ogni anno successivo. Particolare attenzione deve essere rivolta alla misurazione dello spessore medio-intimale del vaso arterioso che è definita da una banda luminosa di riflessione, il cui spessore tende ad aumentare in rapporto ad alterazioni aterosclerotiche. In istologia tale aspetto viene interpretato come una risposta ipertrofica adattiva delle cellule muscolari lisce nella tunica media in presenza di alti picchi di stress, mentre i grafici flussimetrici rilevati contemporaneamente con il Doppler ci danno informazioni sull’elasticità del vaso arterioso. Questa fase viene considerata la più importante dal punto di vista clinico preventivo (foto 4).

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Foto 4 – Valutazione dello spessore medio-intimale.
Lo spessore medio intimale rilevato sull’immagine evidenzia una reazione patologica della parete arteriosa che va attentamente seguita nel tempo con contemporanea valutazione dei fattori di rischio (metabolismo lipidico, glucidico ed emodinamica sistemica).

I pazienti con fattori di rischio quali fumo, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia familiare e iatrogena e diabete mellito di tipo I e II etc. devono effettuare un esame ECD ogni anno dalla quarta decade di vita in poi per evidenziare l’eventuale presenza di alterazioni endoluminali definite come risposta immuno-infiammatoria della porzione intimo-mediale delle arterie. Con il perdurare dell’azione patologica le alterazioni endoluminali possono formare delle placche causa di microembolizzazione o stenosi che da un punto di vista sintomatologico si manifesteranno con episodi di ictus e ischemia cerebrale (foto 5, 6 e 7).

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Foto 5 – Stenosi carotidea disomogenea. Le alterazioni della parete multiple evidenziabili mediante mancanza di color Doppler mostrano un flusso non laminare con iniziali turbolenze. Tale situazione è di pertinenza medica e non ancora chirurgica.

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Foto 6 – Trombosi della carotide. La mancanza di flusso di circa il 60%, evidenziata dal color Doppler, ci mostra una situazione a rischio di embolia e quindi meritevole di trattamento chirurgico.

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Foto 7 – Stenosi severa evidenziata dal grafico, poco evidenziata dall’ecografia. Stenosi severa della carotide interna emodinamicamente significativa, evidenziata dalle immagini ma soprattutto dal forte aumento delle velocimetrie, da trattare chirurgicamente.

L’ictus è un evento drammatico ed è la terza causa di morte nella popolazione mondiale. In Europa, il numero di ictus è in progressivo aumento e si prevede possa aumentare fino a più di 1,5 milioni di casi per anno nel 2020. L’arteriosclerosi dei vasi intracranici è un’altra causa diretta del’ictus e come tale porta ad alto rischio di morbilità e mortalità. Quindi, non meno importante, oltre a eseguire l’EcocolorDoppler dei vasi sovraortici (carotidi e porzione extra craniche delle arterie vertebrali) è fondamentale eseguire l’esame EcocolorDoppler dei vasi intracranici. Recentemente è stato dimostrato in uno studio effettuato (Bos D. et al, 2012) su 2.495 pazienti che la misurazione delle alterazioni morfologiche e velocimetriche delle arterie intracraniche può essere un marker sensitivo per la diagnosi di arteriosclerosi e ausilio per la prevenzione dell’ictus (foto 8).

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Foto 8 – Valutazione vasi intracranici. In presenza di fattori di rischio o in presenza di alterazioni dello spessore medio-intimale, è opportuno integrare lo studio dei vasi sovraortici con lo studio dei vasi intracranici che ci possono fornire informazioni utili per una prevenzione più specifica delle ischemie cerebro-vascolari e dell’ictus.


MIXING

SIFILIDE: C’ERA UNA VOLTA IL “SEGNO DI DE MUSSET”

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Il De Musset, letterato francese, per la sua vita libertina aveva contratto la lue, complicata da INSUFFICIENZA AORTICA (l’altra causa di questa valvulopatia è la malattia reumatica). Il De Musset aveva notato su se stesso e descritto che il capo presenta oscillazioni sincrone con l’attività cardiaca, dall’avanti all’indietro, spiegabili con l’iperpulsatilità delle carotidi. Dello stesso significato è un analogo movimento verso l’alto di una gamba a cavalcioni sull’altra (segno di Blackzek).
Queste osservazioni rientrano nella “DANZA DELLE ARTERIE”. Per l’aumentata ampiezza delle pulsazioni arteriose a causa del “caput mortuum” (espressione di Condorelli), propria dell’insufficienza aortica, si verifica il rapido passaggio da un’alta pressione ad una bassa pressione diastolica.

La P.A. differenziale aumentata imprime alle pareti arteriose un rapido movimento di espansione, seguito da brusco afflosciamento. Questo aumentato movimento delle arterie spesso si trasmette ad un intero segmento del corpo: capo e arti inferiori.
I medici di oggi conoscono molto poco la danza delle arterie per due motivi: a) sifilide e malattia reumatica si curano molto bene con gli antibiotici, con conseguente netto calo della valvulopatia; b) con il progredire della diagnostica strumentale è crollata la conoscenza della semeiotica medica.

PEDOFILIA: CONVEGNO A NETTUNO

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Un corso di aggiornamento rivolto ai Pediatri, ai Medici di Medicina generale e di Pronto Soccorso e anche agli Infermieri si è svolto presso l’Istituto per Ispettori di Polizia della cittadina laziale: il titolo è stato “Pedofilia, abuso e maltrattamento: saper riconoscere l’infanzia negata”.
Sono stati proiettati filmati esplicativi tratti da film sull’infanzia, che hanno approfondito i vari tipi di maltrattamento minorile fisico e psicologico, messo in atto da parte di un familiare o di terzi.
Il ruolo della Polizia postale è insostituibile nella lotta alla PEDO-PORNOGRAFIA IN RETE. Si è discusso anche sul come riconoscere e interpretare gli indicatori di maltrattamento.

Questi i punti chiave. Il mancato riconoscimento o segnalazione di un maltrattamento può avere conseguenze gravissime: un’accusa erronea può avere effetti altrettanto gravi sul bambino, sulla famiglia e su chi è ingiustamente accusato.
Ogni lesione va ponderata nel quadro clinico-sociale generale. l’assenza di evidenti lesioni non può escludere la vessazione. Questa è l’unica condizione nella quale la famiglia – se responsabile – non è alleata del medico.

LE VITAMINE IN CARDIOLOGIA

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VITAMINA A: beta-carotene. In particolare protegge dai radicali liberi che compromettono tutto il sistema cardiovascolare.
VITAMINA C: acido ascorbico. È utile nel prevenire e nel curare l’aterosclerosi per tre motivi:
a)     ipocolesterolemizzante: trasforma il colesterolo in acidi biliari;
b)     ipoglicemizzante in quanto favorisce le glicogenogenesi;
c)     antiossidante, sinergico con la vit. E.
VITAMINA B 2: riboflavina. Previene e cura i radicali liberi.
VITAMINA PP o AC. NICOTINICO: ipocolesterolemizzante e quindi anti-aterosclerosi, e fibrinolitico e quindi antitrombotico.
VITAMINA E: tocoferolo. Ha una triplice modalità di azione:
a)     antiossidante, onde previene e cura l’aterosclerosi;
b)     previene e cura la macro- e la microangiopatia diabetica, entrambe nocive per le coronarie;
c)     utile nell’angina pectoris essendo vasodilatatore: in particolare favorisce la vasodilatazione endotelio-dipendente.

TUTTO SULLA DISFUNZIONE ERETTILE
Recente acquisizione è che essa deve essere considerata non più come un semplice sintomo, ma – all’opposto – come un vero fattore di rischio circolatorio.
Multiformi le cause.
•     Ormonali: diminuzione del testosterone, aumento della prolattina.
•     Neurologiche: m. di Parkinson, m. di Alzheimer, traumi spinali, ipertensione arteriosa, aterosclerosi, macro- e microangiopatia diabetica.
•    Errati stili di vita: fumo, alcoolismo, obesità, droghe, dislipidemia.
•     Fattori psicologici: stress, depressione, “ansia di prestazione”. Ma non commettere l’errore di interpretarla solo in chiave psicologica.
La terapia prevede anzitutto un corretto stile di vita. Ove necessario, si ricorre ai farmaci, quali il Sildenafil e succedanei che esaltano la produzione di ossido nitrico nell’endotelio dei corpi cavernosi, inducendo dilatazione e conseguente erezione. Tali medicamenti sono utili anche per la coronaropatia e l’ipertensione polmonare. Ma è l’orgasmo in se stesso, da essi provocato, che può essere pericoloso per i rischi cardiovascolari, specie in età avanzata.

INFARTO MIOCARDICO O SINDROME DI BRUGADA?

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La vasta eco (stampa e TV) suscitata dal recente decesso del calciatore livornese Piermario Morosini, avvenuta durante una gara e che ha fatto sospendere tutto il campionato di calcio, merita qualche riflessione.
Si è subito parlato, in fretta, troppo superficialmente (anche da parte di cardiologi), di infarto miocardico, senza pensare che – trattandosi di un giovane, e per di più di sesso maschile –era più probabile la Sindrome di Brugada. Qualcuno poi ha anche ipotizzato la rottura di un aneurisma cerebrale, peraltro non compatibile con l’assenza del polso radiale, subito rilevata dai primi soccorritori. L’autopsia, come prevedibile, ha escluso sia l’infarto, sia l’emorragia cerebrale. È proprio a questa sindrome, allora, che si deve pensare.

Detta anche DISPLASIA ARITMOGENA DEL VENTRICOLO DESTRO, è in crescita esponenziale in tutto il mondo: è responsabile del 50 % dei casi di fibrillazione ventricolare, una delle forme di arresto cardiaco. Alla base vi è un’anomalia del gene SCN5A, causa di alterazione del canale del sodio (canalopatia). Si manifesta con una sincope, talora recidivante (rientra fra le sindromi cardio-cerebrali), dovuta appunto alla fibrillazione ventricolare, con arresti cardiorespiratori. Momento scatenante dell’aritmia è un frequente, improvviso aumento dell’attività simpatica, connesso con lo stress, proprio delle competizioni sportive.
La prognosi è infausta se non è immediatamente trattata. Il propranololo (Inderal) è il farmaco di prima scelta. Ma l’unica cura risolutiva è il DEFIBRILLATORE AUTOMATICO che azzera la mortalità e che è augurabile sia sempre disponibile in tutti gli affollati agoni sportivi.
Un singolare caso di Sindrome di Brugada si è avuto qualche anno fa con l’improvvisa morte durante una gara del calciatore del Siviglia, Antonio Puerte, 22enne, che aveva già avuto almeno 5 arresti cardio-respiratori .

“FILLER” E BELLEZZA

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Per riempire le rughe e ridare forma ovale al viso il “filler” più sicuro è quello con acido ialuronico, fondamentale per il derma. Si tratta di una sostanza nella quale sono immerse le fibre elastiche e il collagene, per cui contribuisce a dare consistenza, idratazione e morbidezza alla cute. I filler con questa sostanza hanno densità differente in base alla zona da trattare e all’obiettivo da perseguire.

Le concentrazioni più basse e con consistenza fluida servono a idratare e a stimolare il derma in numerose zone – viso, collo, décolleté, mani – senza effetto riempitivo.
Con le concentrazioni più elevate si trattano rughe profonde o pieghe, come quelle tra naso e labbra, oppure si riempiono le perdite di volume su zigomo e guance.


VESCICA IPERATTIVA:
UNA PATOLOGIA SOTTOSTIMATA

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La “vescica iperattiva”, termine coniato per la prima volta nel 2002 dalla I.C.S. (International Contenence Society) è una condizione patologica che interessa circa 50 milioni di persone in tutto il mondo.

È caratterizzata principalmente dai seguenti sintomi:
•    aumento della frequenza urinaria diurna e notturna;
•    urgenza minzionale intesa come bisogno urgente, improvviso spesso imperioso, di urinare, associato o meno a incontinenza urinaria.

Colpisce adulti di tutte le età, soprattutto donne, e talvolte può interferire con il sonno, il lavoro, i viaggi, l’attività sessuale, la vita di relazione, le interazioni sociali.

Per quanto la maggior parte non abbia mai avuto un episodio di incontinenza, queste persone sono tormentate dai sintomi di frequenza e urgenza, tanto da modifiare il proprio stile di vita, adottando meccanismi di adattamento preventivo:
•    iniziano ad andare in bagno in maniera “difensiva”, cioè prima di lasciare il luogo di lavoro, di uscire di casa o di andare in qualunque altro posto;
•    limitano i propri spostamenti quotidiani ai soli luoghi e percorsi in cui conoscono la collocazione dei servizi igienici (“mappatura delle toilette”);
•    riducono l’assunzione di liquidi;
•    evitano l’intimità sessuale;
In Italia le persone affette da vescica iperattiva sono circa 3 milioni, uomini e donne, anche di giovane età. Nelle donne si manifesta più frequentemente come urgenza minzionale associata o meno a incontinenza, mentre negli uomini il sintomo più spesso lamentato è l’aumento della frequenza diurna e/o notturna.
Nonostante tutto, ancora oggi una minima parte si rivolge al medico, ginecologo o urologo, sia per la convinzione errata che i disturbi del controllo vescicale facciano parte integrante dell’invecchiamento e non ci sia niente da fare, sia perché è troppo imbarazzante parlarne anche solo al medico di famiglia.

CAUSE
Le cause possono essere diverse, alcune ancora ignote, ma tutte fanno capo a un’alterata funzionalità del muscolo di cui è fatta la vescica: il detrusore.
La vescica normalmente funziona attraverso un coordinamento complesso di fattori muscolo scheletrici, neurologici e psicologici che permettono il riempimento e lo svuotamento vescicale nel momento e nel luogo più appropriato.
È fondamentale l’integrità delle funzioni neuroanatomiche e neurofisiologiche, sia nella fase di riempimento sia nello svuotamento vescicale.
Queste funzioni sono controllate in gran parte dal sistema nervoso autonomo periferico, con segnali modulatori che provengono dai nervi sensitivi della vescica e dell’uretra, e dal S.N.C. (sistema nervoso centrale).
Si ritiene infatti che a livello della corteccia frontale sia localizzato proprio il controllo volontario della minzione.

Nella vescica iperattiva avviene la perdita di questo controllo, pertanto il detrusore non più regolato può contrarsi autonomamente durante o al termine del riempimento vescicale, tanto che, talvolta anche il presentarsi dello stimolo può determinare immediatamente una minzione. La contrazione detrusoriale può presentarsi spontaneamente o essere innescata da eventi specifici come la tosse, il lavaggio delle mani, i cambiamenti di postura o posizione, l’orgasmo.
La vescica iperattiva può essere una conseguenza diretta di lesioni del midollo spinale o di malattie neurologiche come il morbo di Parkinson o la Sclerosi Multipla (vescica neurologica iperreflessica), ma anche di patologie organiche come le infezioni croniche delle vie urinarie, la presenza di calcoli o di neoplasie vescicali, o anche dell’iperplasia prostatica negli uomini, tutte patologie che possono manifestarsi con la medesima sintomatologia.

Quando non è legata al alcun fattore evidenziabile si parla di vescica iperattiva idiopatica.
Sono molti i fattori di rischio associati: l’obesità, la menopausa, l’enuresi infantile, il fumo di sigaretta, pregressi interventi chirurgici uro-ginecologici.

DIAGNOSI

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Una corretta diagnosi di vescica iperattiva prevede alcune tappe fondamentali:
–    ANAMNESI e QUADRO CLINICO: sintomatologia riferita dal paziente, diario minzionale, impatto sulla qualità della vita;
–    ESAME OBIETTIVO;
–    ESAMI DIAGNOSTICI di I e II livello.

Nonostante la maggior parte di questi pazienti non si rivolga subito al medico, per l’errata convinzione che i disturbi siano legati all’invecchiamento o, spesso, per l’eccessivo imbarazzo, un colloquio approfondito con domande mirate è il primo passo per comprendere l’esatta natura del problema:
•    ha avuto negli ultimi mesi perdite involontarie di urina?
•    urina molto spesso durante il giorno o si alza più volte durante la notte?
•    le capita di avere urgente, irrefrenabile, improvviso bisogno di urinare?
•    raggiunge in tempo la toilette dopo il bisogno di urinare?

La risposta positiva anche a una sola di queste domande impone maggiori approfondimenti diagnostici, anche perchè la combinazione dei sintomi tipici della vescica iperattiva, in particolare l’urgenza, può essere dovuta anche ad altre forme di disfunzioni vescico-uretrale.
È quindi di fondamentale importanza una valutazione del paziente nella sua globalità.
Una raccolta anamnestica attenta e mirata insieme al diario minzionale permette di inquadrare l’entità e la percezione dei sintomi urinari. Oltre al numero delle minzioni diurne e notturne e agli episodi di incontinenza, è necessario che il paziente segnali anche gli episodi di urgenza considerati il sintomo chiave del problema.
Vanno tenuti in considerazione anche la funzionalità intestinale, i pregressi interventi chirurgici e in particolare quelli del tratto genitourinario, le problematiche ambientali e sociali, l’assunzione di farmaci.

L’ESAME OBIETTIVO comprende:
•    l’ispezione e la palpazione addominale;
•    l’esame perineale per valutare la sensibilità e la funzione dei muscoli del pavimento pelvico;
•    l’esplorazione rettale per valutare il tono dell’ano e nell’uomo la ghiandola prostatica;
•    l’esplorazione vaginale per indagare sulla eventuale presenza di prolassi e sulla condizione estrogenica;
•    lo stress test al fine di escludere una coesistente incontinenza da sforzo.

Gli esami diagnostici di I livello servono ad escludere la presenza di patologie organiche rilevanti e comprendono:
•    esame delle urine completo con urinocoltura;
•    citologia urinaria su tre campioni;
•    ecografia renale e vescicale con valutazione del residuo post-minzionale.
Gli esami diagnostici di II livello sono rappresentati dallo studio urodinamico completo e da eventuale cistoscopia per escludere in modo chiaro patologie neoplastiche vescicali.
L’esame urodinamico è l’unico esame che permette di fare diagnosi definitiva di vescica iperattiva poiché fornisce una registrazione grafica della funzionalità vescicale attraverso una valutazione della sensibilità propriocettiva, della capacità e della compliance vescicale, ma soprattutto permette di visualizzare la presenza di contrazioni iperattive del detrusore altrimenti non evidenziabili.

TERAPIA
La vescica iperattiva idiopatica trova una buona risoluzione nel trattamento conservativo attraverso:
•    terapia farmacologica;
•    terapia farmacolocica in associazione a riabilitazione perineale.

La terapia farmacologica dei sintomi di urgenza, frequenza e incontinenza da urgenza è rappresentata principalmente dai farmaci antimuscarinici che hanno un’azione antagonista sui recettori muscarinici localizzati nel detrusore e nell’epitelio vescicale. Si pensa infatti che l’abnorme stimolazione di questi recettori M2 ma soprattutto M3 sia alla base delle contrazioni involontarie tipiche della vescica iperattiva.
Naturalmente questi farmaci non sono esenti da controindicazioni come il glaucoma ad angolo chiuso, il reflusso gastroesofageo e la stipsi ostinata e da effetti collaterali come la secchezza della fauci e lacrimale.
La terapia riabilitativa perineale (elettrostimolazione funzionale e biofeedback), aiuta a inibire le contrazioni involontarie della vescica sviluppando contrazioni antagoniste da parte dei muscoli del pavimento pelvico attraverso una serie di esercizi che ne migliorano il tono, la forza, la resistenza, il trofismo.

Questa tecnica aiuta, inoltre, attraverso la presa di coscienza del perineo, anche ad imparare a sopprimere, o ad ignorare, il desiderio di urinare, attivando il riflesso di chiusura allo sforzo di cui è dotata la muscolatura perineale.
Da oltre 20 anni si pratica la neuromodulazione dei nervi periferici come la stimolazione del nervo tibiale e la neuromodulazione sacrale.

•   La stimolazione del nervo tibiale posteriore secondo Stoller (SANS: Stoller’s Afferent Nerve Stimulation) è un trattamento riabilitativo approdato in Europa relativamente di recente.
La neuromodulazione viene ottenuta stimolando il nervo tibiale posteriore in prossimità della caviglia. Tale nervo contiene fibre sensitive e motorie che originano dalle radici spinali che vanno da L4 a S3 da cui partono fibre per l’innervazione della vescica. Pertanto la stimolazione ripetitiva di questo nervo, permette di attivare una stimolazione riflessa a livello del detrusore e del collo vescicale attivando i nervi parasimpatici che originano a livello spinale.

Questa terapia rappresenta quindi una valida alternativa in tutte quelle disfunzioni vescicali anche su base neurologica che per la severità e la complessità dei sintomi rappresentano spesso un problema clinico di difficile risoluzione, e poiché non presenta effetti collaterali né controindicazioni è attuabile anche in età pediatrica.
•    La neuromodulazione sacrale è un’efficace terapia di secondo livello per i pazienti affetti da vescica iperattiva che non risultino responsivi ad altro. Consiste nell’impiantare in centri altamente specializzati uno stimolatore collegato a un elettrodo posizionato sulle radici dei nervi sacrali S3-S4 le quali modulano l’attività nervosa del pavimento pelvico, della vescica, dello sfintere urinario.
Si segnala inoltre la terapia con instillazione intravescicale di tossina botulinica o di capsaicina.


IMMAGINI DIAGNOSTICHE IN IMMUNOFLUORESCENZA

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L’immunofluorescenza è una tecnica di laboratorio molto diffusa, di fondamentale importanza in Immunologia e Microbiologia. Serve, nella maggior parte dei casi, a identificare in un determinato campione la presenza di specifici antigeni o anticorpi ignoti la cui controparte conosciuta o disponibile nel laboratorio è variamente legata a un marcatore. L’immunofluorescenza è quindi una tecnica che utilizza anticorpi legati a traccianti fluorescenti in grado di legarsi a strutture cellulari in modo molto specifico, consentendo una valutazione qualitativa e quantitativa delle strutture bersaglio.

La tecnica dell’immunofluorescenza a scopo diagnostico è nata intorno al 1965 e si è notevolmente evoluta nel corso del ventennio successivo. Si applica con metodo diretto (IF) o con metodo indiretto (IFI): con il primo sistema generalmente si individuano gli antigeni, con il secondo gli anticorpi. L’anticorpo deve essere marcato con sostanze fluorescenti (rodamina o isotiocianato di fluoresceina). Nell’immunofluorescenza diretta un anticorpo marcato riconosce un antigene e vi si attacca. L’immunofluorescenza indiretta (IFI) prevede due fasi: una prima fase in cui l’anticorpo non marcato viene incubato con il substrato contenente l’antigene omologo e una seconda fase in cui viene aggiunto al sistema (complesso antigene-anticorpo) un anticorpo marcato con fluorocromo diretto contro la specificità immunoglobulinica del primo anticorpo. Poiché quest’ultimo si lega all’antigene, il secondo legame evidenzia la reazione.

Nell’ambito della diagnostica clinica le tecniche di immunofluorescenza hanno avuto grande successo per lo studio delle malattie autoimmuni (sia con finalità diagnostiche sia nel contesto del monitoraggio delle diverse terapie). Le malattie autoimmuni sono patologie caratterizzate dalla perdita di tolleranza verso il self. Esse derivano da un’alterazione del sistema immunitario che non riconosce più in modo corretto alcune strutture dell’organismo e scatena un’azione di autoaggressione che si esprime sia con la produzione di autoanticorpi, sia con la generazione di linfociti citotossici capaci di riconoscere antigeni autologhi.

Da un punto di vista clinico-diagnostico le malattie autoimmuni possono essere raggruppate in due grandi categorie:
•    malattie autoimmuni organo-specifiche: la risposta autoimmune ha come bersaglio tessuti e organi ben determinati: sistema endocrino (tiroidite di Hashimoto, morbo di Graves, morbo di Addison), apparato gastrointestinale (cirrosi biliare primitiva, colite ulcerosa, gastrite atrofica), apparato ematopoietico (anemia emolitica autoimmune);
•    malattie autoimmuni non organo specifiche o sistemiche: la risposta autoimmune non è diretta verso organi o antigeni specifici ma verso antigeni diffusamente distribuiti, come il DNA, le ribonucleoproteine, gli antigeni mitocondriali
La diagnosi delle malattie autoimmuni non organo specifiche si basa sul fatto che in queste malattie sono frequentemente presenti autoanticorpi diretti contro antigeni nucleari (ANA) e in particolare ciascuna di esse è associata a un gruppo definito di autoanticorpi che possono essere utilizzati come marcatori e aiutare notevolmente il clinico medico nella diagnosi differenziale.
I più importanti gruppi ANA comprendono:1) anticorpi anti-DNA; 2) anticorpi anti-istoni; 3) anticorpi antiproteine non istoniche legate ad acidi ribonucleici; 4) anticorpi antinucleolo .
Per realizzare un buon preparato di IF si utilizzano le cellule HEp2. Sono cellule derivate da un carcinoma della laringe umana (cellule epiteliali). Le HEp2 rappresentano un buon substrato per la ricerca di autoanticorpi soprattutto in IF indiretta, in quanto hanno un rapporto nucleo/citoplasma assai elevato e posseggono numerosi antigeni del nucleo.
Si riportano di seguito alcune immagine in microscopia che evidenziano il pattern di fluorescenza in rapporto con la diagnosi clinica.

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Quadro di immunofluorescenza omogenea
Si nota la fluorescenza globale del nucleo in interfase e dei cromosomi in mitosi dovuta alla presenza di anticorpi antiDNA, antidesossiribonucleoproteine, anti-istoni. La malattia associata a questo quadro è il LES (Lupus Eritematosus Sistemico).

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Quadro di immunofluorescenza punteggiato fine (speckled)
Questo tipo di fluorescenza è caratterizzato da una fine punteggiatura dovuta alla presenza di autoanticorpi diretti contro antigeni nucleari estraibili (ENA), un gruppo di proteine associate al DNA o all’RNA, così chiamate perché possono essere facilmente estratte in soluzione salina.

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Quadro di immunofluorescenza ad anello periferico
Questo quadro fluoroscopico è piuttosto raro, si osserva una fluorescenza omogenea con netto rinforzo periferico dovuto alla presenza di anticorpi anti-DNA. Le malattie associate a questo quadro sono il LES e la sclerodermia nella variante sistemica.

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Quadro centromerico
È un quadro molto caratteristico caratterizzato da fluorescenza puntiforme localizzata a livello dei centromeri ed è dovuta alla presenza di auto-anticorpi diretti contro la proteina CENP-B legata a DNA satellite dei centromeri.Le patologie più frequentemente associate a questo tipo di quadro sono: sclerodermia sistemica, connettivite mista, sindrome di Sjogren, artrite reumatoide.

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Quadro nucleolare
Quadro caratterizzato da fluorescenza a grossolane granulazioni dei nucleoli, dovuta ad autoanticorpi diretti contro varie proteine presenti nella struttura dei nucleoli. Le malattie associate a questo quadro sono la sclerodermia, la dermatomiosite e la polimiosite.


L’ANALISI ROUTINARIA DELLE URINE

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È una delle analisi “storicamente” più gettonate, indagine che attraverso i secoli ci riporta all’interpretazione dell’organismo e delle sue funzioni secondo i principi e i metodi che ne hanno mutato la comprensione nel tempo. Molta acqua (sic) è passata dall’uroscopia o urinoscopia fino ai nostri giorni. L’urinoscopia era addirittura un arte divinatoria con la quale fino al XVIII secolo si pronunciavano diagnosi. D’altro canto l’osservazione delle urine per secoli è stato l’unico esame concretamente effettuabile su un prodotto del metabolismo corporeo. Già in Egitto, si utilizzava la descrizione dell’aspetto delle urine per fissare un legame tra le proprietà delle urine e lo stato fisico del corpo (salute/malattia). Secondo Pitagora (V secolo a.C.) l’urina era parte dei tre liquidi fondamentali del nostro organismo. Qualche anno dopo Ippocrate considerava l’urina come parte del sangue e, in qualche modo, la scuola ippocratica fornisce un valore di indagine semeiologica all’osservazione delle urine. Di particolare interesse le distinzioni che già gli ippocratici facevano delle variazioni cromatiche (urine distinte in “albicans, rubra, biliosa”, ecc.).
Nella letteratura si trovano vari elementi di grande interesse per ricordarci il ruolo “diagnostico” che le urine hanno acquisito nel corso del tempo, intrecciandosi la loro lettura con i cambiamenti cronologici e interpretativi delle varie scuole. Ma dobbiamo arrivare al XIX secolo, alla chimica e successivamente alla chimica-clinica, per disporre di un’adeguata conoscenza in grado di correlare stato di salute e malattia con la variazione delle caratteristiche strutturali e proprietà acquisite dalle urine. Oggi questo esame sembra qualche volta un po’ entrato in un limbo, ma è assai pericoloso sottostimare “l’analisi delle urine”, con il rischio di privarci di una lettura pronta e significativa per fare una diagnosi o eseguire un monitoraggio clinico di grande importanza pratica nell’individuazione delle diverse forme morbose.

L’urina è il prodotto della escrezione dei reni. In questo modo l’organismo elimina frazioni del metabolismo che sono presenti nel sangue (in particolare l’urea). La formazione dell’urina nel parenchima del rene è un meccanismo di grande interesse per la fisiologia.

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Il rene è un filtro e nello stesso tempo svolge le funzioni di un vero e proprio laboratorio. Il sangue arriva nei glomeruli e in questa sede (di glomeruli ne abbiamo milioni) si ha il passaggio dell’acqua contenuta nel sangue. Ma le urine debbono conservare alcune caratteristiche di salinità e la loro formazione deve verificarsi secondo certe caratteristiche. Dal rene l’urina scende nella pelvi e quindi percorre gli ureteri raccogliendosi nella cavità vescicale. Il tratto anatomico che convoglia l’urina dalla vescica all’esterno è l’uretra. L’atto di emissione urinaria si chiama minzione. Per diuresi si intende la quantità di urina emessa in un certo arco di tempo: in generale si fa riferimento alle 24 ore. Il liquido raccolto rappresenta quindi il prodotto finale di depurazione della massa liquida. Un’accurata lettura dell’analisi dell’urina è un importante ausilio per la clinica: alcuni dati ottenuti dall’analisi dell’urina permettono di diagnosticare le alterazioni funzionali dei reni, ma specifiche indagini consentono di inquadrare anche altri problemi extra-renali (per es. il diabete, alcune infezioni, malattie del fegato, ecc.).
Raccolte le urine in modo corretto, si procede all’esame fisico (volume, colore, trasparenza, peso specifico, osmolarità). Nelle 24 ore si deve urinare, in media, tra 1.200-1.500 ml. Il colore in genere è giallo paglierino, ma anche giallo ambra o con tendenza verso l’arancio. Le urine all’atto di emissione devono essere limpide. Il peso specifico varia da 1.007 a 1.030. L’acidità considerata normale varia con un pH tra 5,5 e 6,5. Le variazioni del pH dipendono da diversi fattori (alimentazione, farmaci, infezioni ecc.). Nell’ambito dell’esame fisico non va trascurato l’odore: in condizioni normali si parla di “odore proprio” caratteristicamente provocato da acidi volatili. Odore ammoniacale può essere correlato alla presenza di batteri. Tipico è l’odore di frutta causato dalla presenza di corpi chetonici.

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Nel descrivere l’esame delle urine in questa sede si valuteranno solo alcuni parametri dell’abituale routine. Si precisa che indagini clinicamente orientate consentono di arrivare a diagnosi ben definite di varie patologie, non solo renali, ma anche di tipo neoplastico extrarenale (per esempio il mieloma). Saranno pertanto descritti gli aspetti di più immediata valutazione, precisando come sia sempre necessario l’approccio clinico e talora specialistico (nefrologico/urologico) per una lettura corretta dei parametri considerati.

Per ottenere un esame delle urine attendibile vanno considerati alcuni punti preliminari. Per esempio è opportuno evitare di raccogliere le urine durante la fase mestruale e, dopo la raccolta, è necessario mantenere in temperatura fresca il campione opportunamente raccolto in recipienti sterili. Le urine vanno raccolte al mattino. Se è necessario effettuare una coltura del campione per eventuali infezioni chi raccoglie le proprie urine deve essere informato del rischio di contaminazione del campione se le procedure di raccolta (semplici) non vengono adeguatamente rispettate.

Per esempio è importante l’igiene assoluta dell’area cutanea circostante il meato uretrale (dal quale fuoriesce l’urina) e che la raccolta sia effettuata utilizzando il gettito intermedio (evitando così di raccogliere la frazione iniziale e quella conclusiva, a termine della minzione). In alcuni casi è necessario raccogliere le urine delle 24 ore. La raccolta inizia al mattino, scartando la prima minzione e si conclude con la raccolta, il mattino successivo, con la prima minzione a 24 ore di distanza. Il volume raccolto va opportunamente miscelato prima di effettuare l’indagine prevista.

I punti da ponderare sono pochi, ma tutti con importante significato clinico. Semplificando al massimo abbiamo un esame chimico e la valutazione microscopica del sedimento urinario. L’esame chimico consente di studiare i seguenti parametri:
•    presenza di proteine (le proteine non devono essere presenti o, se presenti, non devono superare i 20 mg/dl; la presenza di proteine può essere indice di uno stato patologico clinicamente rilevante);
•    presenza di glucosio (il glucosio non deve essere presente; se nel sangue il valore della glicemia supera i 170-180 mg/dl il rene non è in grado di riassorbire la parte eccedente questo valore soglia e quindi troviamo il glucosio nelle urine; la glicosuria è indice di diabete mellito oppure di un difetto del rene nella capacità tubulare di riassorbire il glucosio);
•    presenza di sangue (nell’individuo sano sangue nelle urine non è presente; quando è presente si distingue una microematuria, con emazie visibili al microscopio e una macroematuria; la presenza di sangue nelle urine può, ovviamente, dipendere da molte cause tra le quali glomerulonefriti, calcoli delle vie urinarie, neoplasie della vescica, infiammazione del tratto uretrale etc.);
•    presenza di urobilinogeno (di solito, nella persona sana, presente in quantità minime non significative; se l’urobilinogeno è presente le cause sono diverse ed è tipicamente correlato con l’aumento della bilirubina nel sangue); l‘urobilinogeno viene escreto per la maggior parte con le feci, sottoforma di pigmenti colorati (bilirubina, →urobilina, stercobilina). Circa un quinto viene riassorbito dal sangue e veicolato al fegato, dove viene escreto nuovamente con la bile. Una piccola quota dell’urobilinogeno riassorbito sfugge al filtro epatico e viene eliminata con le urine, dove viene ossidata a urobilina, sostanza che conferisce la caratteristica colorazione; l’urobilinogeno, che è incolore, viene trasformato dalla luce e dal pH in urobilina che tende verso l’arancione/rosso scuro; per questo motivo le urine dopo un certo tempo presentano una colorazione più densa, più scura rispetto alle urine raccolte immediatamente dopo la minzione.
L’esame del sedimento è l’altro passaggio di grande rilievo clinico per la diagnosi. Serve per visualizzare le cellule che derivano dal rene, i globuli rossi, i leucociti o altre sostanze. In pratica si distingue un sedimento organizzato (che include le cellule) e un sedimento non organizzato (varie sostanze presenti in cristalli).

Nell’esame del sedimento ha grande importanza la presenza di batteri. Il riscontro di batteri va sempre considerato criticamente e deve essere esclusa ogni forma di contaminazione al momento della raccolta. L’esame microscopico del sedimento si esegue dopo centrifugazione del campione. Viene eliminata la parte “liquida”, il così detto surnatante, e si pone il materiale raccolto dal fondo della provetta su un vetrino da microscopio. Nel sedimento urinario si possono riscontrare numerosi elementi, e tra quelli più comuni e significativi ricordiamo:

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•    globuli bianchi (se hanno una distribuzione a tappeto si è sicuramente di fronte a un quadro di infezione);
•    globuli rossi (anche in questo caso di grande importanza il numero per unità di volumne);
•    cellule epiteliali derivanti dal rivestimento delle vie urinarie (in un soggetto sano nelle urine di solito si descrive la presenza di alcune cellule epiteliali e di rari/rarissimi leucociti); uno studio citologico mirato del sedimento ha grande utilità anche nel sospetto di forme neoplastiche ma viene eseguito ad hoc su richiesta del medico e in relazione al quadro clinico;
•    alcuni cristalli derivabili dalle sostanze più varie possono essere presenti: la loro identificazione può correlare in modo significativo con il rischio di formazione di calcoli (i cristalli più frequentemente riscontrati sono quelli di ossalato di calcio e quelli di acido urico). I cristalli di ossalato di calcio hanno una morfologia caratteristica come si si osserva nell’immagine (fig. 1).

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Un discorso a parte va fatto per il riscontro nel sedimento urinario delle figure descritte morfologicamente come cilindri (fig. 2).

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Queste strutture si formano nei tubuli renali e indicano in ogni caso una qualche forma di sofferenza renale. In alcuni casi possono contenere alcune cellule (per esempio con inclusioni di emazie), batteri o altro: il dato è utilizzabile per acquisire informazioni sulla natura patologica che riguarda i tubuli renali.


SINTOMI DELLE BASSE VIE URINARIE E IPERTROFIA PROSTATICA

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I sintomi a carico delle basse vie urinarie (LUTS – Lower Urinary Tract Symptoms) sono costituiti da una serie di modificazioni della diuresi che interessano la vescica, il collo vescicale, la prostata e l’uretra. Svariate condizioni patologiche sistemiche (patologie metaboliche, cardiovascolari, endocrine, respiratorie, renali, etc.) possono alterare la minzione. Ma una delle cause più frequenti e riconosciuta è l’ipertrofia prostatica benigna (IPB), che comporta LUTS legati sia alla fase di riempimento vescicale (aumentata frequenza urinaria diurna e notturna, urgenza minzionale, incontinenza urinaria da urgenza e da stress, dolore vescicale e uretrale), sia legati alla fase di svuotamento vescicale (impiego del torchio addominale, disuria, getto ipovalido, getto intermittente, sgocciolamento terminale). L’ostruzione cervico-uretrale indica in maniera generica tutte le forme di ostruzione al deflusso vescicale (tra cui IPB, stenosi e neoplasie dell’uretra, presenza di corpi estranei etc.).
La prostata è un organo pelvico, impari e mediano dalla forma simile a una castagna, localizzata sotto la vescica, con la base in alto in rapporto con il collo della stessa, ed è attraversata dall’uretra, mentre il suo apice verso il basso definisce il passaggio dall’uretra prostatica a quella membranosa. Nell’adulto ha un diametro trasverso medio di circa 3,5 cm alla base, un diametro antero posteriore di circa 2,5 cm, e verticalmente è lunga circa 3 cm, per un peso che oscilla dai 15 ai 20 gr nei soggetti normali.

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La prostata ha un ruolo importante nella produzione del liquido seminale. Circa il 20-30% dell’eiaculato è di sua pertinenza, fornendo componenti fondamentali alla sopravvivenza e alla qualità degli spermatozoi.
È intuitivo, vista la sua localizzazione anatomica, che qualsiasi sua modificazione implichi un’alterazione della minzione.
L’ipertrofia prostatica benigna (IPB) è caratterizzata da un aumento di volume della ghiandola prostatica. È una patologia che interessa circa il 60% della popolazione maschile di età compresa tra i 50 e 65 anni ma che arriva sino al 80-85% nei soggetti anziani. È una patologia benigna, ma in una percentuale significativa è di tipo progressivo e nel tempo condiziona la qualità di vita del paziente.
La prostata si sviluppa e cresce sotto il controllo endocrino e in particolare sotto l’influenza dell’asse ipotalamo-ipofisario, come nello schema che segue.

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All’interno della prostata il testosterone viene convertito nel DHT, che attraverso l’espressione di diversi fattori di crescita, determina la proliferazione cellulare . Nella prostata “normale”, vi è un equilibrio tra i fattori di crescita e quelli inibitori. Equilibrio che si viene ad alterare nell’ipertrofia.
Numerosi sono gli studi atti ad identificare le possibili cause di progressione della patologia prostatica che non è soltanto legata all’aumento volumetrico della ghiandola. Sembra infatti che anche l’età del paziente, e il PSA, possano essere considerati fattori di rischio per l’evoluzione della patologia – Linee guida Associazione Urologi Italiani.
Sull’evidenza di una delle complicanze potenzialmente più urgenti e invalidanti, la ritenzione acuta di urine, i pazienti con un volume della ghiandola prostatica superiore a 30 cc hanno un rischio di ritenzione acuta e /o di intervento d’urgenza, di circa tre volte superiore a quelli con volume minore. Anche l’età del paziente è influente. Un uomo di 70-80 anni con ipertrofia prostatica ha un rischio quasi sei volte superiore rispetto a un uomo di 40-50 anni di sviluppare una ritenzione acuta di urine.
Il PSA è una glicoproteina sintetizzata prevalentemente dalle cellule epiteliali prostatiche.
È un antigene prostato specifico correlato al volume della ghiandola, che aumenta con l’età del paziente, nelle infezioni della prostata (prostatiti), dopo manovre invasive, nell’IPB, ma soprattutto nel carcinoma della prostata. Alcuni studi hanno evidenziato come una concentrazione di PSA tra 1,4 e 3,2 ng/ml si associ a un aumento di progressione dell’ipertrofia prostatica, che si incrementa ulteriormente con valori di PSA più elevati, ma non sospetti di carcinoma.
I sintomi dell’ipertrofia prostatica benigna non sono tuttavia obbligatoriamente correlati alla dimensione della ghiandola.
Si distinguono sintomi irritativi caratterizzati da aumento della frequenza minzionale (pollachiuria diurna e notturna), minzione imperiosa, e sintomi derivati dall’ostruzione (ostruzione cervico-uretrale) con getto ipovalido, difficoltà ad iniziare la minzione, disuria, utilizzo del torchio addominale, sgocciolamento post minzionale.

Lo specialista in Urologia valuta la salute dei pazienti in tutte l’età, ma soprattutto gli uomini, dopo il cinquantesimo anno d’età, sono quelli che necessitano di una particolare attenzione. Di grande utilità sono quindi i check-up di prevenzione urologica nell’uomo in questa fascia di età, in assenza di campanelli d’allarme precoci (emospermia, familiarità per displasia prostatica, prostatiti, ecc).
L’approccio diagnostico a un paziente che riferisce sintomi disurici deve essere improntato, in prima istanza, su una corretta anamnesi finalizzata alla ricerca di eventuali patologie extraurologiche in grado i di modificare la minzione, assunzione di farmaci (anti-ipertensivi, diuretici etc), stile di vita (introiti eccessivi di liquidi la sera come tisane, camomille), abuso di bevande alcoliche, caffè, pasti abbondanti e ricchi di sostanze irritanti come spezie.
Può essere utile come approfondimento diagnostico l’impiego di questionari finalizzati tipo IPSS (International Prostatic Sympton Score). Il questionario IPSS, è l’unico validato in lingua italiana per questa patologia, e permette una valutazione oggettiva della sintomatologia urinaria del paziente affetto da ipertrofia prostatica.

Fondamentale a livello diagnostico è l’esplorazione prostatica digitale che permette di valutare alcuni parametri della ghiandola quali le dimensioni, la consistenza, i limiti, la dolorabilità ed eventuali irregolarità della superficie (noduli, ispessimenti) che necessitano di indagini più approfondite.

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L’esame del PSA, di cui già si è parlato, è una indagine consigliata dopo il cinquantesimo anno d’età, in assenza di sintomi specifici che possano anticipare l’età in cui viene prescritto. È importante ricordare come questa glicoproteina non sia carcinoma prostatico specifico, ma solo prostata specifica. Utile anche valutare il PSA ratio (PSA totale/ PSA libero) nel caso in cui il valore del PSA totale ricada nella cosiddetta zona grigia.
La uroflussometria, con la valutazione del residuo post-minzionale, permette di misurare il flusso urinario e la capacità di svuotamento vescicale, e quindi oggettivare il grado di ostruzione indotto dall’ipertrofia.
L’ecografica della prostata per via sovrapubica o in casi selezionati per via endorettale permette una precisa valutazione dei diametri della ghiandola e di sue eventuali alterazioni parenchimali (che potrebbero far sospettare un neoplasia), l’apertura del collo vescicale, l’impegno prostatico in vescica, e l’eventuale compromissione della parete vescicale.

L’urologo sarà quindi in grado di mettere insieme tutti i tasselli diagnostici per poter formulare una corretta e personalizzata terapia.


LA MALATTIA PEPTICA E IL GASTROPANEL: DIAGNOSI SIEROLOGICA O ENDOSCOPIA?

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Sebbene la mucosa gastrica sia costantemente sotto l’effetto potenzialmente dannoso di numerosi agenti, endogeni (acido cloridrico, pepsina e acidi biliari) ed esogeni (batteri – come l’H. pylori –, alcool, farmaci – come i FANS o NSAID –, ecc.), abitualmente essa mantiene una totale integrità ad opera di un complesso sistema preposto alla difesa e alla ricostituzione della mucosa stessa. Talora però gli effetti nocivi che si esplicano, per varie cause, sulla mucosa gastrica possono superare le difese, e allora insorge la cosiddetta “malattia peptica” (“acid peptic disease”), termine che comprende diverse situazioni morbose, come, “gastrite” acuta e cronica, “ulcera gastrica o duodenale”, “malattia da reflusso gastro-esofageo” (GERD), e altre (“Zollinger Ellison syndrome”, “Meckel’s diverticular ulcer”).

Il quadro clinico abituale della malattia peptica si indica come “dispepsia” (“δυς-” = “difficile” e “πeψις”= “digestione”), condizione patologica caratterizzata dalla presenza predominante di dolore o fastidio, persistente o ricorrente, localizzato nell’epigastrio. Può essere accompagnata da gonfiore, sensazione di imbarazzo gastrico, eruttazione, nausea o bruciore di stomaco.
È uso definire “gastrite” ogni sospetta patologia della mucosa gastrica e la gastrite viene classificata in base alle sue caratteristiche, come durata (acuta, ma più frequentemente cronica), etiologia, distribuzione anatomica nelle varie sezioni dello stomaco, e meccanismi patogenetici.
La più comune causa della gastrite acuta è quella infettiva, specie da H. pylori. Se non trattata, può evolvere nella forma cronica.

La gastrite cronica, di più frequente osservazione, è caratterizzata da alterazioni infiammatorie prolungate, che inizialmente interessano le strutture superficiali e ghiandolari della mucosa; il processo evolve verso una più severa distruzione ghiandolare, con atrofia e metaplasia di tipo intestinale, che costituisce un fattore predisponente al cancro gastrico. L’etiologia è quasi sempre l’infezione cronica da parte dell’H. pylori, batterio Gram-negativo, diffuso in tutto il mondo; l’infezione sembra acquisita in giovane età e persiste a lungo per decenni. Il germe possiede vari meccanismi che lo proteggono dall’acidità, tra i quali la notevole produzione di ureasi che catalizza la idrolisi dell’urea producendo ammonio basico.
È molto importante, ai fini diagnostici, tenere presente che la gastrite cronica può essere classificata in base alle sede predominante dello stomaco nella quale essa si sviluppa.
A questo punto appare necessario ricordare alcuni elementi dell’anatomia dello stomaco e della fisiologia della secrezione gastrica.

Lo stomaco può essere teoricamente distinto in tre porzioni: corpo, riferito al corpo centrale, fondo, che è la porzione più alta. e antro, zona finale dello stomaco, che si estende dalla piccola curvatura sino al piloro (fig. 1).

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Fig. 1 – Le varie porzioni dello stomaco

La regione del corpo-fondo presenta ghiandole tubulari semplici, dette oxintiche, contenenti cellule parietali, che secernono acido cloridrico, e cellule principali o zimogene, che secernono pepsinogeno (PGI e PGII), forma inattiva dell’enzima pepsina. Si differenzia il pepsinogeno di gruppo I (PGI), che viene secreto dalle cellule della parte alta dello stomaco (fondo e corpo gastrico), da quello di gruppo II (PGII) secreto dall’intera mucosa gastrica, sia nel corpo-fondo, sia dalle cellule della porzione inferiore (antrali e duodenali di Brunner).
Infine, nella mucosa gastrica dell’antro e del piloro si riscontrano ghiandole contenenti le cellule G, che secernono la gastrina (soprattutto la G17), ormone peptidico la cui funzione principale è regolare la secrezione gastrica, stimolando le cellule oxintiche del corpo-fondo a produrre e secernere acido cloridrico.

Tornando a esaminare la gastrite cronica, ricordiamo che essa si presenta abitualmente in due diverse forme:
–     una forma di tipo A che interessa soprattutto il fondo gastrico, estendendosi poi verso il corpo dello stomaco, ma risparmiando per molto tempo l’antro. È una patologia meno comune (10% dei casi), più frequente nell’anziano e talora su base autoimmune, con frequente produzione di autoanticorpi contro le cellule parietali dello stomaco. Risultano lese soprattutto le cellule che producono HCl, con usuale acloridria e conseguente aumento della gastrina (data l’integrità della mucosa antrale e quindi delle cellule G che la producono). Può associarsi al quadro dell’anemia perniciosa (nella quale si riscontra appunto ipergastrinemia e acloridria) e a tiroidite di Hashimoto.
–     una forma di tipo B che interessa solo l’antro; dopo anni, può diffondersi anche al resto dello stomaco (pan-gastrite). È la più comune gastrite cronica che si osserva, abitualmente sostenuta dall’Helicobacter pylori. Queste gastriti possono assumere il quadro della gastrite cronica non atrofica, che in genere per anni resta sempre a carico dell’antro (“antral type”); può evolvere in ulcera peptica, specie duodenale, e può provocare sintomatologia e complicazioni tipiche delle gastriti (melena, perforazioni, stenosi), ma è raro che evolva in forme neoplastiche; oppure il quadro della gastrite cronica atrofica che dall’antro si estende facilmente verso il corpo e il fondo dello stomaco (pan-gastrite) colpendo quindi le cellule oxintiche con un decremento della produzione di pepsinogeno di tipo I e anche di acido; questa forma ha un rischio relativamente alto di un’involuzione neoplastica.

Abbiamo già detto che i pazienti che lamentano disturbi gastrici per lo più non risultano poi, ad indagini approfondite, affetti da alcuna patologia organica, ma soffrono solo di un disordine funzionale gastro-intestinale. E il termine “gastrite”, usato per definire tali sindromi, dovrebbe in realtà essere riservato solo all’infiammazione della mucosa gastrica istologicamente documentata.
Ma resta sempre indispensabile, dinnanzi a un soggetto con sospetto di malattia peptica, impegnarsi per escludere la presenza di lesioni organiche, come una gastrite atrofica o un’ulcera peptica o una neoplasia gastrica. Fino ad ora l’unica indagine sicura a tal fine era la Endoscopia, il più sensibile e specifico approccio diagnostico, che permette la diretta visualizzazione della mucosa del tratto esofago-gastrico, con l’acquisizione di documentazione fotografica delle lesioni e di materiale bioptico. Il “gold standard” per l’inquadramento della gastrite resta sempre l’esame gastroscopico, con prelievi bioptici all’antro, all’angulus e al corpo-fondo.
L’indagine però è invasiva e fastidiosa e non sempre viene ben accettata dal paziente. Appare pertanto di notevole utilità poter definire, in soggetti dispeptici, se realmente esistano alterazioni della mucosa gastrica, che debbano necessariamente essere sottoposte a gastroscopia.

Una nuova alternativa è quella di dosare il livello ematico delle sostanze prodotte dalla mucosa (come la gastrina e i due pepsinogeni PGI e PGII), che si ritrovano anche nel sangue e che, essendo nota la sede della mucosa gastrica che le produce, rappresentano veri bio-markers indicatori dello stato funzionale delle varie parti dello stomaco. Quando queste indagini risultano nella norma, gli eventuali disturbi “gastrici” debbono essere attribuiti ad altre patologie. E la effettuazione di una gastroscopia può essere tacciata di comportamento “mal practice” (“type of negligence in which the doctor fails to follow generally accepted professional standards”).
A queste indagini per la titolazione ematica dei bio-markers funzionali della mucosa gastrica è molto utile associare la ricerca della presenza o assenza di anticorpi IgG specifici per un’infezione da H. pylori, causa molto frequente di gastrite cronica.

È stata realizzata una metodica, che ha preso il nome di GASTROPANEL, al fine appunto di determinare con un esame del sangue, effettuato con dosaggi enzimatici (ELISA) utilizzando anticorpi monoclonali altamente specifici se, in un soggetto dispeptico, esistono reali alterazioni gastritiche, precisando quali parti della mucosa gastrica sono colpite, e se queste sono associate all’infezione cronica da H. pylori; si possono delineare i soggetti potenzialmente a rischio per lo sviluppo di neoplasie o di ulcera gastrica (iposecretori, con atrofia mucosa) e quelli maggiormente predisposti allo sviluppo di ulcera duodenale e anche da reflusso gastro-esofageo (ipersecretori, con o senza infiammazione).
Vengono misurati, sul sangue periferico, dopo un digiuno di almeno 10 ore (per evitare interferenze con i processi digestivi) i livelli dei quattro seguenti markers sierici: il Pepsinogeno (precursore della pepsina) di tipo I e II, la Gastrina 17 e gli anticorpi anti-Helicobacter pylori.
Abbiamo già detto che il Pepsinogeno I (PGI) è esclusivamente prodotto dalle cellule del corpo-fondo; e quindi esiste una correlazione tra il suo livello ematico e la perdita di tali cellule causata dall’atrofia gastrica di queste parti dello stomaco. Valori misurati inferiori a 25-30 microgrammi/litro indicano che la mucosa del corpo-fondo ha una moderata o severa gastrite atrofica. I suoi valori possono elevarsi durante un trattamento con inibitori della pompa protonica.
Il Pepsinogeno II (PGII) è prodotto invece dall’intero stomaco (valori normali fino a 10 microgrammi/litro). I livelli aumentano durante l’infezione; poi, col tempo, al peggiorare della gastrite atrofica del corpo-fondo, il rapporto tra pepsinogeno I e II decresce (minore di 3), per maggiore riduzione del PGI. Quindi la concentrazione sierica di ambedue i pepsinogeni, e specie del PGII, aumenta in soggetti con gastrite cronica non atrofica da H. pylori . Mentre nella forma atrofica del corpo-fondo diminuisce quella del PGI (che viene prodotto in tale sede), restando inalterata o quasi quella del PGII, prodotto dall’antro, ancora indenne.

Un altro marker misurato è quello dell’ormone Gastrina 17, prodotto quasi esclusivamente dalle cellule G dell’antro dello stomaco. Va a stimolare la secrezione di acido cloridrico dalle cellule della mucosa del corpo; il suo rilascio è regolato da un meccanismo di feedback negativo che è legato al livello del pH gastrico e dei pepsinogeni; il suo tasso ematico diminuisce quando l’acidità gastrica aumenta. Un livello basso di gastrina è abitualmente indice di danno gastrico nell’antro, o anche di severa gastrite atrofica diffusa, mentre un suo incremento, abituale in caso di patologia del corpo-fondo, può essere inteso come un tentativo di aumentare la produzione dell’HCl.
La letteratura conferma l’utilità di queste indagini. (PLoS One. 2011; 6(10): e26957. 2011 Oct 31. Accuracy and cut-off values of pepsinogens I, II and gastrin 17 for diagnosis of gastric fundic atrophy: influence of gastritis. Nasrollahzadeh D et al. Department of Medical Epidemiology and Biostatistics, Karolinska Institute, Stockholm, Sweden.)

A parte va considerato il riscontro degli anticorpi IgG anti-Helicobacter pylori, segno che il soggetto ha sofferto di questa infezione, che può aver provocato infiammazione cronica della mucosa, con evoluzione verso la gastrite atrofica.

Figura2
Tabella – Analisi di un soggetto con mucosa gastrica sana, con indicazione, a lato, dei valori normali del GastroPanel.

Data la frequenza elevata e persistente di questa invasione batterica (più del 50% della popolazione ne risulta affetto), si può considerare probabile che, riscontrando una positività sierologica ad alto titolo, l’infezione sia ancora in atto (alcune indagini, come il 13C-urea-breath test o il test per gli antigeni fecali, possono poi accertarne la presenza) . Tutto ciò può consigliare l’effettuazione di una terapia eradicante della infezione cronica da H. pylori, secondo le recenti norme, concordate nell’ultimo “consensus report”. (Gut. 2012 May; 61(5): 646-64. Management of Helicobacter pylori infection – the Maastricht IV/Florence Consensus Report. Malfertheiner P. et al. Department of Gastroenterology, Hepato­logy and Infectious Diseases, Otto-von-Gue­ricke University of Magdeburg, Magdeburg, Germany.)

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Fig. 2 – Modalità di interpretazione dei diversi risultati che si possono ottenere con il GastroPanel.

In conclusione, possiamo dire che il GastroPanel permette di differenziare quei soggetti dispeptici che realmente debbono essere sottoposti a una gastroscopia, rispetto agli altri che non necessitano di effettuarla (vedi tabella).
Per una più precisa valutazione del problema, è disponibile un software di refertazione (Gastrosoft) che aiuta nella corretta interpretazione dei risultati ottenuti con il GastroPanel. Nella figura 2 sono riferiti schematicamente i vari quadri rilevabili con questa metodica e le indicazioni comportamentali che ne conseguono.

Terminiamo con le parole di chi ha realizzato il test: “quando l’esame con il GastroPanel fornisce un risultato completamente normale, i sintomi gastrici riferiti dal paziente sono causati o da dispepsia funzionale o da patologie che non interessano la mucosa gastrica – when gastropanel examination gives a normal result, any stomach symptoms are caused by functional dyspepsia or by a disease elsewhere than in the stomach mucosa- BIOHIT”.