A cura di Maria Giuditta Valorani – PhD, Research Associate, Queen Mary University of London – UK
La differenza tra età anagrafica ed età biologica delle persone è stata studiata in una ricerca effettuata nell’anno 2017 in varie nazioni del mondo e pubblicata sulla importante rivista internazionale The Lancet.
L’analisi ha rivelato un divario fino a trent’anni tra le 20 nazioni in cui le persone portano meglio gli anni, e le nazioni nelle quali le persone li portano peggio: un settantaseienne giapponese presenta lo stesso livello di problemi di salute “tipici” di un sessantacinquenne; e questo traguardo è invece raggiunto ad appena 46 anni da un abitante di Papua Nuova Guinea.
Il primo autore dello studio, la dottoressa Angela Y. Chang, dell’Institute for Health Metrics and Evaluation, University of Washington, Seattle, USA, dichiara che “L’aumento dell’aspettativa di vita può rappresentare sia un’opportunità, che una minaccia per il welfare complessivo delle popolazioni, a seconda dei problemi di salute correlati all’età che le persone sviluppano, indipendentemente dall’età anagrafica. Le patologie correlate all’età possono portare infatti al pensionamento anticipato, ad una contrazione della forza lavoro e ad un aumento della spesa sanitaria. L’autorità governativa e gli altri stakeholder (soggetti direttamente interessati) implicati nei sistemi sanitari, devono sapere a quale età le persone cominciano a risentire degli effetti negativi dell’invecchiamento”.
In questo studio sono stati analizzati gli effetti negativi correlati all’età: l’alterazione di una serie di funzioni biologiche e la perdita delle abilità fisiche, mentali e cognitive, risultanti da una serie di 92 condizioni. Le patologie correlate all’età che maggiormente contribuiscono alla mortalità sono: cardiopatia ischemica, emorragia cerebrale e broncopneumopatia cronica-ostruttiva.
Panel: 92 malattie legate all’età, per categorie di malattia più ampie.